Anno: XXV - Numero 66    
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EQUO COMPENSO A UN PASSO DALLA META

La Relatrice del testo varato al Senato, 'dignità ai professionisti'

EQUO COMPENSO A UN PASSO DALLA META

 

.”L’approvazione all’unanimità al Senato della legge sull’equo compenso ci porta, finalmente, al riconoscimento della piena dignità economica alle prestazioni professionali. Basta patti leonini ai danni dei professionisti, soprattutto giovani, e basta contratti capestro”. Lo dichiara il viceministro della Giustizia con delega alle Professioni Francesco Paolo Sisto. “Ci auguriamo – aggiunge – di giungere quanto prima all’approvazione definitiva del testo alla Camera, affinché la politica si dimostri in grado di assicurare ad un comparto importantissimo per il nostro Paese una risposta normativa attesa da troppo tempo”.

L’equo compenso “è una grande conquista: sancisce un principio fondamentale per garantire la dignità della attività dei professionisti, a volte contraenti deboli nei confronti di imprese dalla grande forza contrattuale come banche, assicurazioni, o Pubbliche amministrazioni” ed è “una riforma attesa da anni, con la quale riconosciamo il lavoro di tanti professionisti, che svolgono un ruolo importante nella società”.

Parola della senatrice Erika Stefani, capogruppo della Lega in commissione Giustizia e relatrice del provvedimento di FdI e Lega varato oggi dall’Aula del Senato, che tornerà a Montecitorio per la terza lettura.

L’Ordine degli Avvocati di Roma saluta con favore l’approvazione all’unanimità in Senato del disegno di legge sull’equo compenso per le prestazioni professionali, licenziato ieri dalla commissione Giustizia di palazzo Madama. Un testo che attende ora la terza lettura alla Camera e che, sottolinea il Coa Roma in una nota, “può ancora essere migliorato”

“Fa piacere che le istanze dei professionisti siano state accolte – spiega il Presidente dell’Ordine Forense della Capitale, Paolo Nesta – un risultato che come Consiglio dell’Ordine sentiamo anche nostro, nella misura in cui il Coa Roma in tutti questi anni si è battuto ovunque per difendere il principio dell’equo compenso, anche fuori dal territorio di competenza, ricorrendo al Tar, vincendo i ricorsi contro le pubbliche amministrazioni e talvolta addirittura ottenendo ragione dalla PA in autotutela senza bisogno di arrivare davanti a un giudice”.

Un risultato dunque importante, ma che è ancora suscettibile di miglioramenti. “Il testo ora passa alla Camera in terza lettura – precisa Nesta – e prevede il riconoscimento di un equo compenso ai professionisti che si trovano in situazioni di squilibrio contrattuale con la PA e i grandi committenti, banche, assicurazioni e imprese con più di 50 dipendenti o fatturato superiore ai 10 milioni di euro. Un limite piuttosto alto questo, che come COA chiediamo di ridurre ulteriormente. Il compenso se deve essere equo, deve esserlo sempre, anche se un’impresa ha 10 dipendenti”.. L’O.C.F, tramite il coordinatore Mario Scialla e il referente del gruppo di lavoro su Equo Compenso, Pierfrancesco Foschi, esprime la soddisfazione dell’avvocatura per l’approvazione all’unanimità nella seduta del 22.03.23 del Senato del DDL 495 sull’Equo Compenso con la sola necessaria unica modifica del richiamo al nuovo procedimento semplificato introdotto dalla riforma Cartabia in luogo dell’abrogato procedimento sommario per il recupero dei crediti professionali.

Il resto del testo del DDL coincide con quello che già fu approvato alla Camera prima del termine della precedente Legislatura, per cui OCF rinnova il fermo auspicio che, ora, l’iter per l’approvazione da parte dei deputati, cui il DDL ritorna per il voto definitivo, sia altrettanto spedito ed unanime, recependo finalmente le accorate istanze di tutti i professionisti autonomi italiani, a salvaguardia degli standard qualitativi delle prestazioni che le estreme liberalizzazioni hanno messo in secondo piano.  Infatti, sin  dai lavori preparatori della legge, pressoché tutte le forze politiche, anche dell’attuale opposizione, condivisero quanto OCF per l’avvocatura e le altre associazioni di categoria da tempo segnalano: dopo l’abolizione dieci anni fa, dei minimi tariffari professionali si è assistito ad una totale deregulation che, senza arrivare agli estremi di bandi e convenzioni che talora propongono persino la gratuità delle prestazioni, ha eroso, prima ancora dell’equità del compenso, l’autonomia funzionale del professionista e le minime tutele che i principi costituzionali di tutela del lavoro (anche autonomo)  su cui dovrebbe fondarsi la nostra Repubblica richiederebbero, spingendo i professionisti, specie verso i committenti più forti, in un’area di indefinito parasubordinato senza tutele. Ciò mina l’autonomia dei liberi professionisti, unica vera garanzia di tutela diffusa dei cittadini, prima che dei consumatori.

Contrariamente a qualche isolata opinione contraria all’equo compenso, davvero poco tecnica e superficialmente buona per raccogliere like populisti sui social al pari dei ciclici interventi che col pretesto di maggiori tutele per tutte le professioni, vorrebbero rivedere o emendare il testo, così da non portarlo mai a compimento  come una tela di Penelope, va ricordato che l’equo compenso riguarderà tutti i professionisti e non solo l’avvocatura, la quale vive da anni una situazione ben lontana dall’immagine che ancora le si vuole attribuire. Tanto l’osservatorio presso il CNF quanto il monitoraggio di OCF hanno raccolto innumerevoli (più di 100 casi all’anno) esempi di bandi e convenzioni nazionali da parte di banche, assicurazioni e Pubbliche Amministrazioni con clausole platealmente vessatorie e compensi ben sotto i parametri delle tabelle ministeriali i minimi previsti. Ciò con gli effetti di proletarizzazione già recentemente registrati dall’allarmante indagine di Censis e Cassa Previdenza Avvocati, per cui il 32% degli avvocati è prossimo ad abbandonare la toga e i numeri degli iscritti già si sono ridotti negli ultimi due anni e infine ricordando che nel 2020/2021 tra i 470.000 professionisti che presentarono domanda per il bonus di ultima istanza di 600 euro alle casse di previdenza, ben 140 mila erano avvocati, uno su tre. Insomma, i paladini delle spending review dovrebbero invocarle all’interno delle P.A. e non sulla pelle dei lavoratori autonomi, salvo che non si vogliano tutelare lobby, ormai sovranazionali, di banche, assicurazioni e grandi imprese.

 

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