Anno: XXVI - Numero 102    
Venerdì 23 Maggio 2025 ore 14:00
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Trentino, Lombardia, Friuli, Sicilia.

Dici regioni e dici problemi: il centrodestra scricchiola in giro per l'Italia.

Trentino, Lombardia, Friuli, Sicilia.

La lite sul terzo mandato nella provincia autonoma di Trento. Lo scontro Fedriga-Ciriani e il casus belli della sanità in Friuli. Il caso Bertolaso al Pirellone. I mal di pancia dei democristiani siciliani. E ancora Lazio, Campania, Basilicata… Nonostante le maggioranza blindate, tra Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e altri alleati è battaglia senza quartiere

La coalizione di governo studia l’adozione in ambito nazionale del sistema elettorale che adotta la maggioranza delle regioni – liste proporzionali collegate allo stesso candidato presidente, con premio di maggioranza. “È il sistema che garantisce meglio governabilità e rappresentatività”, dice il senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni, massimo esperto di riforme nel partito di Giorgia Meloni. Ma a ben guardare nelle 14 regioni governate dal centrodestra le crisi non mancano. Tra questioni nazionali – come lo scontro col governo sui fondi per la sanità e la gestione delle liste d’attesa, ma anche il Ponte sullo Stretto, l’autonomia differenziata, il terzo mandato – e dinamiche strettamente territoriali, dalla Sicilia alla Lombardia, dal Friuli al Trentino, il centrodestra scricchiola qua è là in giro per l’Italia. Crisi passeggere e tensioni sotterranee che con le maggioranze blindate difficilmente porteranno alla caduta delle amministrazioni, ma la governabilità è spesso sacrificata. Vediamo i casi più recenti.

 Nella provincia autonoma di Trento, che gode di un regime di autonomia speciale, la crisi si muove lungo l’asse del terzo mandato. Tutto inizia con una fuga di “Fratelli” verso la Lega. I voti decisivi per consentire al presidente Maurizio Fugatti di approvare la legge che gli consentirebbe di candidarsi per la terza volta, sono venuti infatti da Carlo Daldoss (assessore regionale) e Christian Girardi (consigliere). Un minuto dopo, i due, iscritti a Fratelli d’Italia, hanno lasciato il partito di Giorgia Meloni. Il secondo atto si è giocato oggi in Consiglio dei ministri: la presidente del Consiglio – spalleggiata da Antonio Tajani e Francesco Lollobrigida – non ascolta il ministro Roberto Calderoli e decide di impugnare la legge trentina davanti alla Corte Costituzionale. “È un atto istituzionale molto pesante contro le prerogative dell’autonomia trentina, con una chiara valenza politica”, accusa Fugatti. Ci saranno conseguenze, insomma, anche se Matteo Salvini è costretto ad abbozzare, “sono questioni locali”. Si vocifera perfino dell’uscita di FdI dalla maggioranza, dove non è più numericamente influente.

 Dalla tenzone trentina dipende in gran parte anche la crisi in Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, che andrà al voto nel 2028. Massimiliano Fedriga – che è anche presidente della Conferenza delle regioni – vorrebbe ricandidarsi, ma a questo punto tutto dipende dal responso della Consulta. Il casus belli è tuttavia lo scontro tra FdI e Lega sulla sanità. Domenica diversi assessori – quelli della Lega ma anche quelli di Forza Italia e quelli che fanno capo al presidente – hanno rimesso le deleghe. Per capire l’aria che tira bastano le parole del ministro Luca Ciriani, plenipotenziario di FdI in Friuli, insieme al fratello Alessandro – già sindaco di Pordenone ed oggi europarlamentare, intercettato a margine del consiglio dei ministri. “Della crisi non so nulla. Chiedete a Fedriga, è lui che l’ha aperta”, dice il ministro. Ma il governatore non ha preso bene un’intervista dello stesso Ciriani al Gazzettino, in cui Ciriani attaccava Giuseppe Tonutti, direttore generale dell’azienda sanitaria, per i ritardi nell’apertura del nuovo ospedale di Pordenone: “Chieda scusa per i suoi errori”, diceva Ciriani. Tonutti è stato voluto da Fedriga e non ci è voluto molto per capire che l’affondo di FdI era diretto al governatore. “Sono giochi di potere”, si difende Fedriga. Da Fdi fanno filtrare la ragione nascosta che sarebbe dietro alla ribellione in grande stile dei leghisti e dei forzisti: “Se Fedriga fosse sfiduciato, potrebbe ricandidarsi, indipendentemente da quello che la Consulta deciderà sul terzo mandato della provincia autonoma del Trentino”. Una crisi pilotata, insomma, col proposito neppure troppo velato di negare ai fratelli un’altra regione al Nord. La palla passa ora a Giorgia Meloni che doveva incontrare martedì Massimiliano Fedriga a Venezia dove sono riunite le regioni, ma lo vedrà giovedì per il suo stato febbrile. Si parlerà di rapporti istituzionali, ma anche di cucina politica. Il centrodestra sui territori ribolle.

 Veniamo alla Lombardia, dove la settimana scorsa l’assessore al welfare Guido Bertolaso rassegna le dimissioni nelle mani del presidente Attilio Fontana, che le respinge. Il caso fa scalpore a Roma, ma a Milano non era inatteso. “Bertolaso resterà fino al 2028”, assicura il giorno dopo Fontana. Ma in giunta non ne sono così sicuri. Il dissenso è profondo. Strategico, si dice in questi casi. Ecco la ricostruzione: l’assessore – che gestisce il pesante portafoglio lombardo alla sanità – ha pensato bene di affidare ai Nas il monitoraggio delle liste d’attesa, che in regione non accennano ad accorciarsi. Il collega di FdI Romano La Russa, assessore alla protezione civile, non l’ha presa bene. “Sarà il caso di affiancare Bertolaso”, ha detto nel chiuso della giunta. Quello, motivatamente offeso, ha rimesso l’incarico nelle mani del presidente, che gli ha confermato la fiducia. Il dissidio tra l’assessore fedele al presidente e il partito di Giorgia Meloni nasconde altre divergenze. In particolare sull’azienda Aria, l’azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti, che provvede ai bandi e alla fornitura di beni e servizi in sanità. È considerata un feudo di FdI. Ma Bertolaso non ne è contento: ha mandato a Fontana e allo stesso La Russa un dossier sulle inefficienze della società. Aria ha replicato con un controdossier che metteva in luce le inefficienze dell’assessorato guidato dall’ex capo della Protezione civile. Insomma, anche se Fontana soffia – aria – sul fuoco, l’incendio rischia di divampare da un momento all’altro. Nella Lega raccontano all’Huffpost: “In Lombardia si vota nel 2028. Siccome noi chiediamo di mantenere la regione, allora FdI è tentata di farla cadere prima della scadenza naturale, così da compensarla col Veneto, che noi non molliamo”.

 Le cose non vanno bene neppure al Sud. In Sicilia sono i democristiani a minacciare di far mancare i voti. Dopo un primo incidente nell’assemblea regionale su una legge per le politiche abitative – con la maggioranza battuta 31 a 12 – potrebbero mancare anche sulla manovrina finanziaria da 50 milioni, prevista per fine maggio. Il Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, a cui ha aderito di recente Gianfranco Miccichè, vuole il secondo assessore in giunta, in forza dei suoi cinque consiglieri regionali. Rivendica parità di trattamento con la Dc di Totò Cuffaro, che a sua volta chiede al presidente Renato Schifani un rimpasto delle deleghe per pesare di più in giunta. La campagna elettorale è già cominciata. Anche se in Sicilia si dovrebbe votare nel settembre del 2027, Schifani ha ipotizzato di andare alle urne con le politiche nell’election day del maggio 2027. Non manca molto, dunque. A scanso di equivoci, Antonio Tajani lo ha ricandidato nelle scorse ore anche per il secondo mandato: “Sarà lui il prossimo presidente della Sicilia”. Schifani ha ringraziato, ma dagli alleati non sono arrivati applausi.  

Come se non bastassero le crisi conclamate e quelle latenti, ci sono quelle congelate. Nel Lazio, Forza Italia e Lega hanno a lungo duellato sulla pretesa di almeno un assessorato in più, e di peso, per gli azzurri, dopo che il senatore Claudio Lotito ha rimpolpato i numeri dei consiglieri di partito nella maggioranza. Sono mancati i voti un paio di volte in consiglio, Lotito ha riunito i sediziosi, minacciando atti clamorosi, che non ci sono stati. Francesco Rocca ha redistribuito le deleghe, privandosi di un paio di competenze che aveva saggiamente tenuto per sè. Giuseppe Schiboni ha avuto l’urbanistica e Pasquale Ciacciarelli la protezione civile. il regista dell’operazione, Lotito, potrebbe ottenere un incarico di sottosegretario nel rimpastino – futuro, eventuale, possibile – che Giorgia Meloni dovrebbe promuovere per ricoprire alcuni poti vacanti.

 In stand by è anche il chiarimento in Basilicata dove FdI guarda con crescente insofferenza al movimentismo dei pittelliani nella maggioranza di Vito Bardi. Un mese fa, il capogruppo dei fratelli Michele Napoli era arrivato al punto di autosospendere sè stesso e i suoi colleghi dai  lavori in assemblea e in commissione. Le rassicurazioni di Bardi hanno fatto rientrare il dissenso ma fonti locali spiegano che la crisi è solo rinviata. Marcello Pittella continua a menare sulla gestione della sanità locale, in mano al Fdi Cosimo Latronico. Per le comunali di Matera poi si è alleato con la sinistra di Basilicata casa comune. Alleato dei Fratelli a Potenza, avversario a Matera. In regione scommettono: dopo il 26 maggio, pioveranno sassi.

 Ci sono poi le regioni che devono andare al voto.  Caso Veneto a parte – qui la Lega punta i piedi e non prende in considerazione altre ipotesi se non una propria candidatura per la successione a Zaia – è la Campania a spaccare la coalizione. A Napoli praticamente ogni partito ha presentato un proprio candidato alla corsa per Palazzo Santa Lucia. FdI vuole Edmondo Cirielli, la Lega Gianpiero Zinzi, Forza Italia aveva Fulvio Martusciello, la cui corsa è stata frenata dall’arresto di una collaboratrice nello scandalo Hawuei, e ora vuole un civico e mette il veto su Mara Carfagna, proposta da Noi Moderati. Sottotraccia dorme la candidatura di Giosy Romano, civico, commissario alla zona economica speciale e considerato molto vicino a Enzo De Luca.

di  Alfonso Raimo su HuffPost

 

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