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Lunedì 25 Agosto 2025 ore 13:50
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Draghi e l’Europa che non c’è

L'ex premier al Miting di Rimini: "L'Unione costretta a subire i dazi Usa, ad aumentare la spesa militare e spettatrice del massacro di Gaza. Deve cambiare"

Draghi e l’Europa che non c’è

Mario Draghi non è uomo da slogan. Le sue parole, pesate come moneta sonante, hanno la capacità di inchiodare i presenti molto più di un comizio infuocato. A Rimini ha compiuto l’operazione che nessun leader europeo osa fare: denunciare senza giri di parole che l’illusione di un’Europa forte solo perché “grande mercato” è finita da un pezzo.

Davanti agli occhi di tutti ci sono Gaza, l’Iran, l’Ucraina: partite decisive giocate senza l’Europa in campo, ridotta a comparsa o al massimo a finanziatore muto. Draghi ha avvertito che non basta la retorica dei valori: occorrono difesa comune, debito comune, un’industria che sappia reggere la competizione globale. In una parola: politica.

Il messaggio è tagliente: l’Europa non può più illudersi di essere potenza se si rifiuta di comportarsi da potenza. Il tempo delle visioni è finito, oggi servono decisioni. Perché un’Unione che resta ferma è un continente che scivola ai margini. Un’Unione europea relegata ai margini, costretta a subire le decisioni economiche e politiche con poca o nessuna capacità di incidere sui cambiamenti in atto. Mario Draghi dal Meeting di Rimini torna a scuotere l’Europa. “Per anni l’Ue ha creduto che la sua dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata. Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi imposti dal nostro più grande partner commerciale e alleato di antica data, gli Stati Uniti. Siamo stati spinti dallo stesso alleato ad aumentare la spesa militare, una decisione che forse avremmo comunque dovuto prendere ma in forme e modi che probabilmente non riflettono l’interesse dell’Europa”, afferma in apertura del suo discorso.

“L’Ue, nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina e abbia il maggior interesse in una pace giusta, ha finora avuto un ruolo abbastanza marginale nei negoziati per la pace. Nel frattempo la Cina ha apertamente sostenuto lo sforzo bellico della Russia, mentre espandeva la propria capacitò industriale per riversare l’eccesso di produzione in Europa – specialmente ora che l’accesso al mercato americano è limitato dalle barriere al commercio degli Stati Uniti”, prosegue Draghi.

“Le proteste europee hanno avuto poco effetto. La Cina ha chiarito che non considera l’Europa alla pari, e usa il suo controllo nel campo delle terre rare per rendere la nostra dipendenza sempre più vincolante. L’Europa è stata spettatrice anche quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava”, aggiunge.

“Per difendere i suoi valori l’Ue deve cambiare”

Lo scetticismo nei confronti dell’Ue “non è contro i valori su cui è stata fondata: democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità”, quanto nella sua capacità di difendere quei valori. “In parte è comprensibile: i modelli di organizzazione politica, specie quelli sopra-statuali, emergono anche per risolvere i problemi del loro tempo. Quando questi cambiano, tanto da rendere fragile e vulnerabile l’organizzazione preesistente, questa deve cambiare”, prosegue, ricordando che l’Ue fu creata perché nella prima metà del 20° secolo le organizzazioni precedenti, ossia gli Stati nazionali, “avevano, in molti Paesi, completamente fallito nel compito di difendere questi valori”.

“Anche coloro che sostengono che l’Ucraina dovrebbe arrendersi alle richieste della Russia non accetterebbero mai lo stesso destino per il loro Paese. Anche loro attribuiscono valore alla libertà, all’indipendenza, alla pace e alla solidarietà, sia pure solo per se stessi”, chiosa Draghi.

“Fu quasi naturale” per gli europei del Ventesimo secolo “sviluppare una forma di difesa collettiva per democrazia e per la pace. L’Ue fu sviluppata per rispondere al problema più urgenti del tempo: la tendenza dell’Europa a scivolare nel conflitto. Ed è insostenibile argomentare che staremmo meglio senza di essa”, aggiunge Draghi, scatenando un applauso nella sala.

“E’ finito un mondo, oggi nuovi modelli”

Il mondo caratterizzato dalla tendenza liberale, in vigore dagli anni Ottanta ai primi Duemila e nel quale l’Ue ha prosperato, “è finito. E molte delle sue caratteristiche sono state cancellate”, argomenta Draghi. “Mentre prima ci si affidava giustamente o ingiustamente ai mercati per la direzione dell’economia, oggi ci sono politiche industriali di grande respiro. Mentre prima c’era il rispetto delle regole, oggi c’è l’uso della forza militare e della potenza economica per proteggere gli interessi nazionali. Mentre prima lo Stato vedeva ridursi i suoi poteri, tutti i suoi strumenti sono impiegato in nome del governo dello Stato”.

A seguito di questo cambiamento, spiega l’ex premier ed ex Bce, l’Europa “è poco attrezzata in un mondo in cui geoeconomia, sicurezza e stabilità delle fonti di approvvigionamento, più che non l’efficienza, ispirano le relazioni commerciali internazionali. La nostra organizzazione politica deve adattarsi alle esigenze del suo tempo quando queste sono esistenziali”.

“Con abbattimento barriere interne +7% di produttività in 7 anni”

Nonostante il mercato interno sia nato quarant’anni fa “permangono ostacoli significativi agli scambi interni all’Europa”, avverte Draghi spiegando che una rimozione simile a quella avvenuta negli Usa comporterebbe una crescita della produttività del 7% in sette anni, contro il 2% degli ultimi anni, secondo il Fondo monetario internazionale. Questa è una delle due direzioni lungo cui occorre muoversi per fare pienamente uso della dimensione dell’Ue, puntualizza.

Il costo di queste barriere è già visibile nella “gigantesca impresa militare” da due mila miliardi di euro nei prossimi anni, ostacolato da barriere interne che equivalgono a tariffe del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli, spiega l’ex Bce. “Il risultato sono gare d’appalto più lente, maggiori costi, più acquisti fuori dall’Ue senza nemmeno una funzione di stimolo per le nostre economie. Tutto a causa degli ostacoli che noi imponiamo a noi stessi”.

“Con ci sarà sovranità se esclusi da tecnologie critiche”

Oltre ad abbattere le barriere interne al mercato unico per l’Ue è imperativa anche la dimensione tecnologica perché dal modo in cui si sta evolvendo l’economica globale, è chiaro che “nessun Paese che voglia prosperità e sovranità può permettersi di essere escluso dalle tecnologie critiche”, ammonisce Draghi.

Usa e Cina usano apertamente il loro controllo sulle risorse strategiche sulle tecnologie per ottenere concessioni in molte altre aree, prosegue l’ex Bce, sottolineando che ogni dipendenza eccessiva “è incompatibile con la sovranità sul nostro futuro, con la capacità e la volontà che noi abbiamo di disegnare il nostro futuro”.

In tutto questo, “nessun Paese europeo può avere da solo le risorse necessarie per costruire la capacità industriale richiesta per sviluppare queste tecnologie”, avverte.

 

 

 

 

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