Anno: XXV - Numero 71    
Mercoledì 24 Aprile 2024 ore 16:45
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Niente cause, niente parcelle

Ecco perché gli avvocati italiani sono in grande difficoltà

Niente cause, niente parcelle

La fase due è iniziata da tempo. Superata l’emergenza, il Paese torna lentamente alla normalità. «Tutti riprendono il lavoro, gli uffici hanno riaperto, ma i tribunali no. Senza che vi sia una spiegazione razionale. In una città come Roma, che lunedì scorso ha avuto tre nuovi contagi, si celebra solo il 15 per cento dei processi». Il presidente dell’Unione Camere Penali Gian Domenico Caiazza racconta a Linkiesta uno scenario drammatico: «Ogni tribunale fa come gli pare. La situazione era già collassata prima del Covid, ma adesso si va verso una rottamazione dei processi, con ritardi che si accumulano su ritardi. Parliamo di un servizio pubblico alla deriva». La giustizia italiana fatica a ripartire. Ogni tribunale lo fa con regole sue, «come se fossero dei Granducati che battono moneta propria». Il risultato sono processi celebrati col contagocce, smart working che non funziona, udienze rinviate di un anno, cittadini che rinunciano a chiedere giustizia. Mentre decine di migliaia di avvocati fanno domanda per il bonus dei 600 euro, molti di loro sono costretti perfino a smantellare lo studio. Perché, ripete Caiazza, «siamo liberi professionisti e viviamo del nostro lavoro, se non si celebrano processi non lavoriamo». Un Paese di santi, navigatori, poeti e professionisti. In Italia ci sono 240mila avvocati. L’Ordine di Roma è il più numeroso d’Europa: conta 31 mila iscritti. «Praticamente sono i numeri di un comune medio italiano», riflette il presidente Antonino Galletti. Oggi la situazione è drammatica e si procede col lanternino», spiega a Linkiesta. «Se prima del Covid c’erano ruoli con trenta udienze al giorno, ora se ne fanno quattro o cinque. E tutto il resto viene rinviato non a settembre, ma ad aprile o marzo del 2021. Il “lavoro agile” dei dipendenti degli uffici giudiziari consisteva nel mandare da casa le mail con i rinvii delle udienze, quando è stato possibile farlo». Senza contare che, se non sono in ufficio, i cancellieri non possono accedere alle banche dati e all’intranet. Per la fase due della giustizia, il ministro Bonafede ha stabilito che fossero i capi dei singoli uffici giudiziari a dettare le linee guida della ripresa. «Ma ognuno – spiega Galletti – ha dato regole diverse e ci troviamo in una situazione infernale. Pensi che solo per i tribunali di Roma ho raccolto otto chilogrammi  di linee guida in materiale cartaceo». E gli avvocati che discutono udienze in città diverse devono studiare regole e protocolli che cambiano da Milano a Torino». La tecnologia non ha aiutato. Non abbastanza almeno. I processi telematici si fanno nel civile, nel tributario e nell’amministrativo, ma con piattaforme e sistemi diversi, il che rende tutto più complicato. «E poi nel civile le videoconferenze non sono state sfruttate come potrebbero. Ci si imbatte in computer che non funzionano, collegamenti internet che saltano…». I processi penali, invece, non si fanno al computer. Caiazza spiega il perché: «Abbiamo celebrato da remoto solo quelli non rinviabili come le udienze di convalida degli arresti e le direttissime, sapendo però di indebolire l’esercizio del diritto di difesa. I nostri processi sono fisici, un testimone devo averlo di fronte e vedere come reagisce alle domande, devo poter verificare in ogni momento l’attenzione del giudice». Il lockdown è passato e, nonostante la ripresa delle attività in tutto il Paese, «i processi si continuano a non fare. Alcuni capi degli uffici giudiziari e i singoli giudici hanno un atteggiamento incomprensibile. Abbiamo raccolto i dati delle 131 camere penali e abbiamo appurato che oggi si celebra dallo 0 al 20 per cento dei processi». Numeri impietosi in un panorama, quello della giustizia, già drammaticamente problematico. Col rinvio delle udienze, non vengono pagate nemmeno le parcelle degli avvocati mentre i costi restano invariati. E in questo periodo di crisi, i clienti rischiano di non poter pagare. La categoria, per anni descritta come ricca e privilegiata, è cambiata moltissimo. Caiazza spiega: «È sempre stata data un’immagine approssimativa dell’avvocatura, che invece si è estesa in modo impressionante e oggi è molto fragile. Con spese fisse immodificabili come l’affitto degli studi, i costi di segreteria e quelli dei collaboratori». Oggi soffrono i giovani e i piccoli, ma non solo. Faticano anche i grandi studi, che rischiano di dover licenziare avvocati più che titolati. Nel mondo delle professioni legali sono in pochi a navigare nell’oro. Galletti racconta: «La metà degli avvocati romani ha redditi inferiori ai 35 mila euro annuali, e si figuri che siamo anche uno degli ordini più ricchi». Tra le varie categorie di professionisti, quella degli avvocati è stata la più numerosa nel chiedere il bonus dei 600 euro a marzo. Sono state oltre 145mila, infatti, le richieste di sussidio arrivate alla Cassa Forense. E in una situazione sempre più difficile, molti pensano di appendere la toga al chiodo. «Diversi avvocati si stanno ridimensionando. Capita soprattutto negli studi medi, quelli con cinque o sei avvocati. Con questa crisi smantellano la sede, rinunciano alla segretaria e portano lo studio direttamente a casa propria». Tra collette e polizze per colleghi malati di Covid, il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma non ha dubbi: «Vorremmo tornare a fare le udienze in tribunale. In questa situazione c’è anche un deficit di tutela del cittadino che, viste le difficoltà e i rinvii, nemmeno si rivolge alla giustizia per far valere un suo diritto».

Tratto da L’Inkiesta

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