Anno: XXV - Numero 72    
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Limiti all'accesso agli atti di Cassa Forense

Gli elenchi degli incarichi legali, sia giudiziali che stragiudiziali conferiti da Cassa Forense non possono essere oggetto di accesso civico generalizzato e l'Ente Previdenziale può negare l''istanza di accesso ritenuta massiva, indeterminata, generica e carente di specificità. È quanto affermato dal Tar Lazio nella sentenza n.5801 del 05/04/2023.

Limiti all'accesso agli atti di Cassa Forense

Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici amministrativi, un avvocato, nella sua qualità di iscritto ex lege alla Cassa di previdenza degli avvocati, ha formulato all’Ente Previdenziale una domanda di accesso civico generalizzato ex D.Lgs. n.33/2013, al fine di ottenere l’ostensione dell’elenco degli incarichi legali, sia giudiziali che stragiudiziali, conferiti da Cassa forense nell’ultimo quinquennio, riportante i nominativi dei professionisti e l’importo dei relativi compensi professionali”; e i nominativi dei componenti delle Commissioni di studio appositamente costituite per la predisposizione della bozza di riforma del Regolamento previdenziale e l’importo dei compensi previsti per la durata dell’incarico.

Cassa Forense ha parzialmente accolto la suddetta richiesta comunicando soltanto i nominativi dei componenti interni della Commissione di studio (escludendo i nominativi dei consulenti esterni) e negando l’accesso civico relativamente alle informazioni richieste sugli incarichi legali conferiti dalla Cassa negli ultimi 5 anni, ritenendo la domanda “massiva, indeterminata, generica e carente di specificità, non avendo ad oggetto particolari atti o documenti”.

A fronte di tale diniego, l’avvocato ha presentato domanda di riesame alla Direzione Generale della Cassa di previdenza, rimasta senza riscontro e conseguentemente ha proposto ricorso dinanzi al Tar lamentando in particolare la violazione e falsa interpretazione degli artt. 1, 3, 5, e 15 e 5-bis, comma 2, lett. a) D.L.gs. n.33/2013.

In primo luogo i giudici amministrativi hanno rilevato che l’istanza di accesso del ricorrente è stata inizialmente respinta dalla Cassa in quanto ritenuta “massiva, indeterminata, generica e carente di specificità, non avendo ad oggetto particolari atti o documenti”.

Sotto questo aspetto il Tar ha rammentato che il ricorso all’istituto dell’accesso civico generalizzato deve in concreto essere funzionale al perseguimento delle finalità pubblicistiche ad esso sottese, individuate dall’art. 1, D.L.gs. n. 33/2013 ed ha ricordato quanto affermato sia dalla giurisprudenza amministrativa che dall’ANAC circa i limiti all’accesso di cui all’art. 5 co. 2 del D. Lgs n. 33 del 2013.

Infatti, già in passato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha posto l’accento sulla connotazione solidaristica del diritto di accesso civico generalizzato che consente la conoscenza collettiva di dati di affidabile provenienza pubblica. In altri termini attraverso il diritto all’informazione, l’accesso civico generalizzato garantisce il buon andamento dell’amministrazione ex art.97 Cost., con la conseguenza che esso non può essere strumentalizzato per intralciare proprio il funzionamento della stessa P.A. e che il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome del fondamentale principio solidaristico ex art. 2 Cost.(cfr. Adunanza Plenaria sentenza 2 aprile 2020, n. 10, Cons. St., sez. VI, 13 agosto 2018, n. 5702)

 Tra l’altro la deliberazione ANAC n.1309 del 28 dicembre 2016 (avente ad oggetto le “Linee Guida recanti indicazioni operative della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del D. Lgs n. 33 del 2013”) ha chiarito che “nei casi particolari in cui venga presentata una domanda di accesso per un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo molto sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse dell’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare, in questi casi particolari e di stretta interpretazione, l’interesse ad un buon andamento dell’amministrazione”.

Quanto alla richiesta del ricorrente di conoscere il conferimento degli incarichi e la relativa spesa sostenuta, il Tar ha esaminato se ai sensi dell’art.15 D.Lgs. n.33/2013 sussista l’obbligo della Cassa di pubblicare i dati di cui al comma 1, quali a) gli estremi dell’atto di conferimento dell’incarico, l’oggetto della prestazione, la ragione dell’incarico e la durata; b) il curriculum vitae; c) i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto; d) il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di partecipanti alla procedura”.

Sul punto il Tar ha rilevato che:

    l’art. 3, comma 1-ter, del D.Lgs. n. 33/2013 ha demandato all’Anac il compito di precisare e disciplinare gli obblighi di pubblicazione e le relative modalità di attuazione;

    a norma dell’art.15 D.Lgs. n. 33/2013 i dati relativi ai “consulenti ed ai collaboratori” devono essere pubblicati dalle Società in controllo pubblico, dalle Società in regime di amministrazione straordinaria, dagli Enti di diritto privato in controllo pubblico e dagli Enti pubblici economici; mentre non prevede detto previsto anche per gli enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co.3, d.lgs. n. 33/2013, nel novero dei quali va ricompresa la Cassa di Previdenza e Assistenza degli avvocati (delibera ANAC n. 1134/2017).

Alla luce di queste argomentazioni normative e giurisprudenziali il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto il ricorso.

Fonte: https://www.giustizia-amministrativa.it

 

 

 

 

 

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