Anno: XXV - Numero 73    
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L’era del “faldone” sta per tramontare entro la fine dell’anno i procedimenti civili saranno digitalizzati

Parla Giuseppe Fichera, magistrato e vicecapo Dipartimento per la Transizione digitale della giustizia, l'Analisi statistica e le politiche di coesione. «L'Italia è un modello virtuoso per tutti gli Stati dell'Unione europea»

L’era del “faldone” sta per tramontare entro la fine dell’anno i procedimenti civili saranno digitalizzati

Giuseppe Fichera, magistrato e vicecapo Dipartimento per la Transizione digitale della giustizia, l’Analisi statistica e le Politiche di coesione, è convinto che il 2023 rafforzerà la consapevolezza degli operatori del diritto sull’importanza della digitalizzazione dei processi. «Il mondo della giustizia italiana – dice al Dubbio Giuseppe Fichera – è chiamato a prove sempre più impegnative. Occorre avere la consapevolezza che, da un lato, vi è ancora molto da lavorare sul tema dolentissimo della durata dei processi civili e penali e che, dall’altro, le riforme messe in cantiere dal precedente governo, fino ad ora accolte in maniera assai tiepida da tanti magistrati e avvocati, prestissimo saranno messe alla dura prova dell’applicazione nel lavoro giudiziario quotidiano».

Dunque, occorre farsi trovare pronti. «È compito dell’intera comunità dei giuristi – aggiunge -, quale che sia il ruolo rivestito nell’amministrazione come nella giurisdizione, fare qui e ora la propria parte, rinunciando ad atteggiamenti di chiusura verso le nuove opportunità, che oggi offre l’informatica giudiziaria. Può sembrare banale, ma è meglio ricordarlo sempre: la buona amministrazione della giustizia è vitale per ogni paese democratico».

Dottor Fichera, il processo civile telematico italiano ha fatto quasi scuola in Europa. Il 2023 porterà altre novità?

Io credo che il 2023 sarà un anno decisivo. Il primo atto processuale telematico, un ricorso per decreto ingiuntivo, venne depositato nel dicembre del lontano 2006. Dal 1° gennaio di quest’anno, grazie agli sforzi organizzativi messi in campo dal nostro ministero, il Pct è obbligatorio per tutti gli atti di parte, introduttivi ed endoprocedimentali, per la durata dell’intero processo, dal primo grado in Tribunale fino alla Cassazione. Inoltre, finalmente, dal prossimo 30 giugno il Pct sarà obbligatorio anche nei procedimenti innanzi al Tribunale per i minorenni, al Tribunale superiore per le acque pubbliche e al Giudice di pace.

In questo modo entro la fine dell’anno tutti i procedimenti civili saranno digitalizzati e se, come auspichiamo fortemente, verrà introdotta dal Parlamento una disposizione che prevede il deposito in modalità telematica di tutti i provvedimenti dei giudici, allora davvero senza retorica potremo affermare che è tramontata l’era del “faldone”, che per secoli ha dominato, direi anche figurativamente, la procedura giudiziaria.

Nel Pct non si può non tenere conto del ruolo fondamentale che svolgono tanto gli avvocati quanto i magistrati…

Il Pct, a mio parere, e per smentire qualche recente errato titolo giornalistico, rappresenta la più grande riforma processuale degli ultimi trent’anni. Forse qualcuno ha dimenticato come si lavorava negli uffici giudiziari italiani non moltissimi anni fa, prima dell’avvento della telematica, con le comunicazioni del cancelliere trasmesse agli avvocati tramite ufficiale giudiziario, dopo settimane e le sentenze dei giudici pubblicate dopo mesi dal loro deposito in cancelleria. Ora, quanto fin qui realizzato è frutto di un lavoro comune di tutti i soggetti coinvolti.

Senza l’apporto generoso di magistrati, cancellieri e avvocati non avremmo potuto raggiungere l’obiettivo dell’integrale digitalizzazione del processo civile. Basti pensare all’impegno davvero lodevole dei magistrati italiani nella sperimentazione continua delle frequenti modifiche evolutive sulla “consolle”, l’applicativo usato per accedere ai registri informatici, come pure alla grande prova di capacità di adattarsi all’innovazione tecnologica, cui è stata chiamata l’intera classe forense.

Negli studi legali e nelle cancellerie dei Tribunali ci saranno, dunque, sempre meno carte e faldoni. Stiamo voltando pagina?

Credo che per rispondere a questa domanda sia utile citare alcuni dati. Nel 2014, primo anno in cui è stata introdotta l’obbligatorietà del deposito di taluni atti processuali, vennero depositati circa un milione di atti digitali da parte degli avvocati. Nel 2021, ultimo dato disponibile, i depositi di parte sono stati oltre 21 milioni. Stesso discorso per i provvedimenti dei giudici: si è passati da 1,7 milioni nel 2014 ad oltre 11 milioni nel 2021 e non c’è ancora l’obbligatorietà del deposito telematico di tali atti, se non per i decreti ingiuntivi.

 

Come ho detto prima, la carta è destinata ad uscire dal processo e questo fatto epocale sempre più influenzerà il modo in cui viene amministrata la giustizia nel nostro Paese. Mi riferisco, solo per fare qualche esempio, ai nuovi “format” per gli atti nativi digitali, che non possono essere pensati come una mera riproduzione in pdf di atti analogici, alla creazione di banche dati capaci di raccogliere tutti i provvedimenti giudiziari di merito, nonché ai primi esperimenti di intelligenza artificiale. Penso già oggi alla selezione dei fascicoli, finalizzata a una formazione efficiente dei ruoli d’udienza.

Il processo telematico è utile anche ai fini di un monitoraggio complessivo dell’andamento della giustizia non solo in merito alla durata dei processi?

Nell’anno che si è da poco concluso all’interno del ministero della Giustizia è stato istituto un nuovo Dipartimento, quello per la transazione digitale, l’analisi statistica e le politiche di coesione, dove attualmente lavoro. L’obiettivo della nuova organizzazione, come si evince dalla legge istitutiva, è chiaramente quello di assicurare il coordinamento unitario delle due direzioni generali che si occupano, l’una, la DGSIA, della gestione di tutte le risorse informatiche della giustizia e, l’altra, la DGSTAT, della raccolta ed analisi di tutti i dati giudiziari.

Ciò allo scopo preciso da assicurare, anche al di là dei contingenti impegni assunti dal nostro paese in base al Pnrr, un monitoraggio costante e attendibile del grado di efficienza del servizio giustizia. Risultato questo che oggi, penso di poterlo affermare con certezza, non può prescindere da una massiccia digitalizzazione dei procedimenti giudiziari, come è testimoniato dal livello sempre più raffinato raggiunto dalle statistiche giudiziarie civili proprio dopo l’avvento del Pct.

Anche in Francia si sta lavorando e investendo molto sulla digitalizzazione nella giustizia. L’Italia in un certo modo ha rappresentato un esempio?

Ho letto l’interessante analisi che ha fatto il vostro giornale sui progetti di digitalizzazione avviati oltralpe. Credo che la Francia, sul piano delle riforme, sia sostanziali che processuali, spesso abbia costituito un esempio per il nostro Paese, ma forse stavolta, con una punta di orgoglio nazionale, possiamo dire che l’Italia sul Pct è stato un modello virtuoso per tutti gli stati dell’Ue, solo considerato che altre esperienze di procedimenti telematici sono state contrassegnate da una diffusione solo settoriale e che la Corte di Cassazione italiana è stata la prima Corte suprema europea ad avere introdotto il deposito generalizzato di tutti gli atti processuali di parte. È altrettanto certo che il ministero della Giustizia e, in particolare, il Dipartimento di cui faccio parte, sono chiamati oggi ad un impegno speciale per garantire che la telematica sia posta sempre al servizio di chi lavora nel settore giustizia e non viceversa.

Tratto da Il Dubbio

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