La riforma del processo civile non tiene conto dei dati statistici
Pansini (Anf): da Cnf e ministro Bonafede poca attenzione alle difficoltà dell’avvocatura
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Si è svolta ieri a Roma alla presenza, tra gli altri, del Ministro della Giustizia, l’inaugurazione dell’anno giudiziario presso il Consiglio Nazionale Forense. In occasione dell’evento il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini ha dichiarato: “Anche oggi il Ministro della Giustizia ha confermato l’imminente ed ennesima riforma del processo civile in termini di semplificazione di norme e di accesso alla giustizia. Tuttavia c’è da chiedersi il perché della rinuncia ad una migliore organizzazione del lavoro degli uffici giudiziari, pur auspicata dai rapporti ministeriali, e se realmente vi sia bisogno di un ulteriore intervento del legislatore senza aver prima analizzato la relazione, in termini di causa ed effetto, tra modifiche del codice di rito e qualità, numero e classificazione dei procedimenti pendenti. Ovviamente è più facile ricorrere al numero complessivo di 3.444.105 cause civili pendenti per ingenerare nella società e nel cittadino sfiducia nel sistema giustizia e giustificare interventi normativi a macchia di leopardo che, sino ad oggi, si sono rivelati poco funzionali all’obiettivo che la politica intende perseguire. Ovviamente è più facile dire che “ciò che non funziona nel processo civile è stato eliminato e ciò che funziona è stato mantenuto”, ma giustificare ogni intervento legislativo sul codice di rito unicamente sulla scorta dei numeri dei procedimenti pendenti è fuorviante e non rispondente a verità. Nessuno ha mai spiegato e spiega – continua Pansini – la relazione tra una riforma del codice di rito e il numero dei procedimenti pendenti, considerato che tutti sanno che il collo di bottiglia è rappresentato dalle cause pendenti dinanzi alle corti di Appello e alla Corte di Cassazione, mentre i giudici di pace e i tribunali ordinari riescono a far fronte alle cause iscritte annualmente, che le ADR e il contributo hanno inciso sulla domanda di giustizia e che la difficoltà vera è quella di smaltire i procedimenti a rischio Pinto in cassazione. I procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2018 dinanzi ai tribunali ordinari sono 1.567.587 e hanno ad oggetto gli affari contenziosi, le cause di lavoro, quelle di previdenza e assistenza, la volontaria giurisdizione e i procedimenti speciali sommari. Le cause civili pendenti dinanzi alle corti di appello sono 269.453, di cui 32.122 in materia di previdenza e assistenza. Questi – aggiunge Pansini – sono i numeri al 31.12.2018, che, comprendendo anche i procedimenti a rischio indennizzo per la legge Pinto, emergono dalle statistiche per distretto di corte di appello pubblicate in 3 aprile scorso sul sito del Ministero della Giustizia. Inoltre, il dato complessivo nazionale relativo alle esecuzioni e ai fallimenti, indicato nel monitoraggio trimestrale del ministero, indica 527.792 pendenze mentre non sono riportati i dati relativi ai procedimenti pendenti dinanzi ai giudici di pace e ai tribunali per i minorenni. Infine, dal sito della Cassazione si evince che i procedimenti civili pendenti a fine dicembre dell’anno scorso sono 111.353. È assai utile procedere alla disaggregazione dei dati statistici, fornirne un’esatta interpretazione – spiega Pansini – e continuare in una rigorosa classificazione delle cause pendenti in quanto solo dati corretti e non approssimativi consentono di capire dove intervenire per rendere più agevole il funzionamento della macchina giustizia. Per quel che riguarda invece l’avvocatura – conclude – oggi da parte del Presidente del Consiglio Nazionale Forense nessun riferimento alla professione, alla legge professionale o alla governance dell’avvocatura, ma solo un richiamo costante all’importanza dell’avvocato nella costituzione come obiettivo primario della nuova legislatura del CNF, mentre il Ministro della giustizia ha si parlato di accesso alla professione e di specializzazioni, ma senza alcun coinvolgimento delle componenti istituzionali circondariali e associative dell’avvocatura. È sembrato un dialogo a due tra persone sulle rispettive priorità; in una cerimonia che riguardava l’avvocatura ci saremmo aspettati una maggiore attenzione per la professione, per le sue difficoltà e prospettive che non possono esaurirsi nel ruolo, pur importante, nella società civile e nell’ingresso, non condiviso, dell’avvocato in costituzione come formulato nella proposta del Consiglio Nazionale Forense”.
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