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I nuovi illeciti disciplinari introdotti dalla riforma Cartabia per arginare lo strapotere dei pm

Tra le novità: la sanzionabilità delle condotte relative alla violazione dei divieti riguardo ai rapporti tra organi requirenti e organi di informazione e quelle in materia di tutela della presunzione di non colpevolezza

I nuovi illeciti disciplinari introdotti dalla riforma Cartabia per arginare lo strapotere dei pm

Ottenuti i voti favorevoli del Senato, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la tanto attesa, quanto dirompente, Riforma Cartabia. Una riforma da più parti attesa che si pone l’obiettivo tra gli altri – di riequilibrare i pesi delle Parti processuali. Come sostenuto proprio da taluni magistrati requirenti, il Pm è ormai diventato il baricentro del Sistema giudiziario.

Per tentare di ovviare allo sbilanciamento, la riforma ha sensibilmente innovato la materia degli illeciti disciplinari, la quale, originariamente disciplinata dalla legge Mastella del 2006, non aveva trovato significative innovazioni al catalogo degli stessi, sino ad oggi. Quest’ultimi, infatti, a fronte di condotte, prassi e costumi della magistratura fino ad oggi non sanzionabili, sono stati di necessità applicati estensivamente dalla giurisprudenza delle sezioni disciplinari della Corte di Cassazione, le quali dovendo fare i conti con tale rumoroso vuoto normativo si sono prodigate nell’enunciazione di soluzioni disciplinari “innovative”. Da accogliere con favore, dunque, l’introduzione di nuovi illeciti disciplinari i quali oltre ad apportare immediate modifiche ordinamentali si propongono, più in profondità, di apportare un rinnovamento ed una “rigenerazione morale” alla cultura della giurisdizione.

Tra le novità sanzionatorie, due sono quelle particolarmente dirompenti nell’ottica del raggiungimento dell’obiettivo – ambizioso e di medio/ lungo termine – di cui sopra: la sanzionabilità delle condotte relative alla violazione dei divieti riguardo ai rapporti tra organi requirenti e organi di informazione e quelle in materia di tutela della presunzione di non colpevolezza, baluardo dell’ordinamento repubblicano italiano.

Si aggiungono, poi, tipizzazioni disciplinari in materia di attività clientelari per l’accesso a posizioni dirigenziali ( favorite – oggi – dall’appartenenza ad una corrente piuttosto che ad un’altra ovvero dal rilievo/ gradimento mediatico di cui gode il singolo Pubblico ministero) e sulla produttività dei magistrati: in quest’ultimo caso, in particolare, il mancato rispetto delle misure relative alla funzionalità degli uffici e allo smaltimento dell’arretrato diverrà disciplinarmente rilevante.

Una riflessione particolare merita l’introduzione di quegli illeciti disciplinari a tutela della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza, peraltro recentemente riaffermata proprio con il recepimento della direttiva Ue in materia di “rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza”. Si segnala che, a tutela della presunzione di innocenza, costituirà illecito “l’avere indotto l’emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale in assenza dei presupposti previsti dalla legge, omettendo di trasmettere al giudice, per negligenza grave e inescusabile, elementi rilevanti”. Su questo lo scrivente aveva già avuto occasione di complimentarsi, nelle medesime pagine, con il collega avvocato Enrico Costa, tra i primi a battersi sul riconoscimento della presunzione di non colpevolezza.

Con questi nuovi illeciti disciplinari la riforma Cartabia mira a sradicare tanto nei confronti dei Procuratori Capo quanto nei confronti dei singoli Pubblici ministeri l’eccessiva mediatizzazione e spettacolarizzazione delle attività e dei risultati d’indagine a nocumento, in primis, dei diritti delle persone sottoposte ad indagini, colpevolizzate, soprattutto con dichiarazioni disinvolte da parte dei titolari dei fascicoli, ancor prima di una sentenza definitiva di condanna ( si pensi alla fase cautelare, ad esempio).

Fino ad ora tale prassi era del tutto priva di sanzioni disciplinari: tanto il Procuratore Capo che diffondeva comunicati o convocava conferenze stampa senza specifiche ragioni di interesse pubblico quanto i singoli Pubblici Ministeri che rilasciavano dichiarazioni o fornivano notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’Ufficio non erano sanzionabili poiché, come detto in esordio, mancava un illecito tipizzato che sanzionasse tali condotte. Quest’ultime rilevavano principalmente sulle valutazioni di professionalità, altro tema cardine della Riforma, le quali tuttavia per come sin qui concepite non influenzavano minimamente la carriera del magistrato requirente, vanificando qualsiasi efficacia deterrente – ancorché minima – in capo alle stesse.

Un radicale cambio di passo, non privo di scetticismi da parte di una certa corrente della magistratura (che ritiene minata l’indipendenza dell’autorità giudiziaria), è quello adottato dalla riforma Cartabia che confeziona uno specifico “illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni” per tutti quei magistrati (Pm o Procuratori Capo) che porranno in essere le condotte di cui sopra, un tempo concesse. Le sanzioni, in un’ottica di gradualità e proporzionalità, andranno dall’ammonimento alla censura e dalla perdita di anzianità sino alle forme più gravi della sospensione dalle funzioni e della radiazione.

Si assisterà, dunque, a un ritorno della centralità della Procura Generale presso la Corte di Cassazione che, in quanto titolare sostanziale (l’unico titolare esclusivo è il ministro della Giustizia) dell’azione disciplinare sarà chiamata, anche se solo in sede di preliminare contestazione, ad esercitare un ruolo primario nella delimitazione del perimetro di operatività di questi nuovi illeciti disciplinari.

Appare, quindi, apprezzabile l’intervento riformatore anche su queste tematiche, talvolta neglette nella dialettica tra le Parti ma di estrema centralità nella prospettiva di ristabilire l’equilibrio “processuale” perduto. Il futuro ci dirà se quanto introdotto con la Riforma darà i suoi frutti; certamente è un primo e chiaro segnale del rinnovamento interno – prima di tutto culturale – che il legislatore si aspetta dalla magistratura, specialmente quella requirente.

(*Avvocato, Direttore Ispeg)

Tratto da Il Dubbio

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