Anno: XXVI - Numero 172    
Lunedì 8 Settembre 2025 ore 14:00
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I talebani fanno la bella vita a Kabul, le sanzioni colpiscono solo il popolo afghano

L'analista afghano Ibraheem Bahiss dell'International Crisis Group a Huffpost sulla devastazione del terremoto, che si unisce alla crisi economica e idrica.

I talebani fanno la bella vita a Kabul, le sanzioni colpiscono solo il popolo afghano

“Credo ci sia bisogno di un nuovo approccio, a quattro anni dal ritorno dei talebani, si deve trovare un modo per affrontare le crisi senza necessariamente legittimare il regime. Le donne? È una vita di sofferenze, ma non si arrendono”

Ibraheem Bahiss è un analista afghano, senior analyst all’International Crisis Group, una delle principali organizzazioni non governative al mondo che si occupa di prevenzioni di conflitti. Bahiss, che vive a Kabul, è esperto della politica e della società dell’Afghanistan, ma anche più in generale di politica islamista e sicurezza nell’Asia meridionale. Con Huffpost Bahiss ha parlato del susseguirsi di crisi ed emergenze che stanno mettendo a dura prova l’Afghanistan, da ultimo il devastante terremoto che ha colpito la provincia orientale di Kunar, provocando oltre 1400 vittime e oltre 3mila feriti, secondo un bilancio ancora provvisorio. L’analista ha anche parlato della condizione sempre più dura in cui si trovano a vivere le donne a causa delle restrizioni imposte dai Talebani, ma anche del nuovo posizionamento geopolitico dell’Afghanistan, più vicino a Cina, Russia e India, meno a Stati Uniti e Occidente.

Ibraheem Bahiss, dopo il terremoto i talebani chiedono aiuto alla comunità internazionale, che hanno sempre demonizzato. Non c’è una contraddizione?

I talebani si sono trovati di fronte a un disastro naturale che li ha colpiti a sorpresa, come accade in altri Paesi del mondo. E anche altrove abbiamo assistito a un altissimo livello di solidarietà da parte della comunità internazionale. È già successo con i terremoti in Pakistan, con altri sismi del passato in Afghanistan. I talebani hanno chiesto un sostegno internazionale in modo non differente da quello che hanno fatto i governanti di altri Paesi in passato. Le calamità accadono, l’Afghanistan è particolarmente soggetto a terremoti e negli ultimi anni ha mostrato anche una particolare vulnerabilità al cambiamento climatico.

L’Afghanistan non è in grado da solo di reagire all’emergenza. È solo a causa delle sanzioni internazionali e dell’isolamento diplomatico dei talebani?

È anche a causa delle sanzioni internazionali e questo è un tema fondamentale da trattare. Ma in questo caso parliamo di un terremoto, una catastrofe non prevedibile. Se anche non ci fossero più le sanzioni, il governo talebano si troverebbe comunque in difficoltà e dovrebbe in ogni caso chiedere un aiuto alla comunità internazionale.

Il terremoto è però solo l’ultima di una serie di crisi, da quella economica a quella idrica, che stanno colpendo l’Afghanistan, aggravando le condizioni di vita in cui vive il suo popolo. Diminuire o eliminare le sanzioni può essere una soluzione per aiutare la popolazione afghana?

Sì, assolutamente. A causa delle sanzioni l’Afghanistan è privato di molti aiuti internazionali nei casi di catastrofi naturali dovute al cambiamento climatico. L’International Crisis Group, insieme ad altri attori, sostiene la necessità di separare l’azione e i finanziamenti per il clima dagli obiettivi politici a più ampio spettro e dalle sanzioni contro il regime talebano. Credo che si debba adottare un approccio simile per affrontare anche la grave crisi economica. Occorre dare al settore privato la capacità di investire in Afghanistan e bisogna rivitalizzare il settore pubblico. Ci sono progetti che sono completati al 95%, ma devono ancora essere portati a termine perché nessuno è disposto a trattare con un governo paria come quello dei talebani e anche lontanamente accettare la possibilità che in qualche modo, trattando con questo governo, potrebbero legittimarlo. Io credo ci sia bisogno di un nuovo approccio, a quattro anni dal ritorno dei talebani.

Quale?

Bisogna essere in grado di affrontare le crisi dell’Afghanistan senza necessariamente riconoscere e legittimare i Talebani.

Dunque, lei crede che l’approccio utilizzato sinora dall’Occidente sia sbagliato? Stiamo parlando di un regime fondamentalista islamico, che reprime i diritti e le libertà, soprattutto delle donne. 

Esiste molta letteratura che spiega in modo dettagliato che quando si pongono sanzioni contro un regime, il popolo diventa più dipendente dal regime. E ciò significa che sarà sempre più difficile cambiare quel regime. Le sanzioni non colpiscono i talebani, colpiscono il popolo, le donne afghane. Io capisco le ragioni di coloro che sostengono che si debbano punire i talebani per le loro politiche misogine, per la repressione dei diritti delle donne, per la discriminazione di genere. Ma lei venga qui a Kabul e vedrà come stanno i Talebani. Riempiono i migliori ristoranti, guidano le auto più lussuose, hanno in mano gli iPhone più nuovi. Il punto è che dobbiamo guardare se il nostro fine giustifica i mezzi che utilizziamo per ottenerlo.

Dal 2021 ad oggi sono stati emanati e applicati dai talebani quasi 100 editti che limitano il modo in cui donne e ragazze possono muoversi nella società. Come vivono oggi le donne in Afghanistan?

Io vivo a Kabul con la mia famiglia, mia moglie e le mie figlie. La situazione è difficile. Le ragazze non possono frequentare la scuola oltre il sesto grado, non possono frequentare l’università. C’è stato un periodo in cui potevano frequentare corsi di formazione professionale in campo medico e in altri campi, ma anche quelli sono stati chiusi di recente. Possono ancora lavorare in alcuni settori, ma ci sono tante restrizioni e tanti stigmi per cui è complicato lavorare. Non possono andare in palestra, non è permesso loro andare nei bagni pubblici, né nei parchi pubblici. È una vita di sofferenza, difficile.

A Kabul si continuano a vedere atti di disobbedienza pacifici da parte delle donne nei confronti del regime.

Lei non può neanche immaginare che cosa fanno le donne qui a Kabul. Io ora potrei uscire di casa e filmare centinaia di donne afghane per strada. Alcune di loro, anche se una minoranza, non indossano il velo, camminano, attraversano i parchi pubblici. Le donne afghane non si arrendono, nonostante tutto, cercano di sopravvivere nonostante le restrizioni. È come se, in un certo senso, ci fosse una dicotomia tra le norme scritte di restrizione che vengono loro imposte e la loro vita reale.

Nelle grandi città c’è più apertura da parte dei talebani?

Sì, assolutamente, ma questo dipende anche dalla differenza che esiste tra le norme sociali e culturali che vigono nelle aree rurali e quelle che ci sono nelle grandi città. Nei grandi centri multietnici come Herat, Kabul e in una certa misura Mazar, le regole imposte dai Talebani vengono molto più derise, sfidate. Nelle aree rurali invece c’è uno scenario completamente diverso perché le norme dei Talebani sono maggiormente introiettate culturalmente, le norme delle aree rurali sono molto simili a quelle dei Talebani, c’è un allineamento. E questo è un punto fondamentale da capire per comprendere l’Afghanistan. 

E questo punto spiega forse anche perché non ci sono forme di opposizione strutturate contro il regime talebano?

Ci sono due elementi da sottolineare su questo tema. Il primo è che i talebani hanno imposto regole estremamente rigide, ma l’Afghanistan è una società molto conservatrice. Il problema è che i talebani hanno dato espressione legale a norme sociali, trasformandole in decreti. Ma in una casa normale in Afghanistan le donne non possono uscire senza il permesso del marito, neanche per andare dai loro genitori. Il secondo elemento da sottolineare è che l’Afghanistan viene da quattro decenni di conflitto e finalmente ora, invece, vive un periodo di pace, che dura effettivamente da quattro anni. E per il popolo questo fattore è estremamente importante.

Quanto è solido oggi l’Emirato islamico dei Talebani?

L’Emirato Islamico dei Talebani è solido. In termini di riduzione dei livelli di violenza, l’Afghanistan non è mai stato così pacifico come è ora. Inoltre i talebani hanno un controllo del territorio maggiore di quanto abbia avuto qualsiasi altro governo in Afghanistan negli ultimi 40 anni e forse oltre. Negli ultimi 4 anni il governo dei talebani si è rafforzato, anche se ciò non significa che sarà così per sempre. Questo insieme di crisi che il Paese sta affrontando potrebbe cambiare gli equilibri.

In un report di febbraio, la sua ong ha scritto che più i talebani saranno isolati dall’Occidente, tanto più stringeranno legami con la Cina. In futuro l’Afghanistan avrà rapporti sempre più stretti con la Cina, ma anche la Russia e l’India?

L’International Crisis Group ha pubblicato un rapporto sull’impegno dei Talebani nella regione ed è esattamente questo il punto che abbiamo sottolineato: man mano che i negoziati e le relazioni diplomatiche ed economiche con gli Stati Uniti, l’Europa e altri Paesi occidentali diventano più complicate, si assiste a un maggiore impegno dell’Afghanistan con i Paesi della regione. La Cina e altri Paesi della regione in realtà non hanno altra scelta che impegnarsi con l’Afghanistan, perché hanno preoccupazioni relative all’economia, alla sicurezza. E i talebani hanno dimostrato una certa disponibilità a scendere a compromessi su alcune questioni. Quel che sta accadendo è che l’Afghanistan oggi sta iniziando ad accettare più di buon grado l’isolamento diplomatico da parte dei Paesi occidentali, perché sa che sta intessendo altri legami. Gli Usa, però, non sembrano preoccuparsi molto di questo nuovo allineamento geopolitico. A loro il governo talebano fa comodo finché tiene sotto controllo al-Qaeda e lo Stato islamico.

di Nadia Boffa su HuffPost

 

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