Cittadinanza, la battaglia dei nuovi italiani non finisce qui
L’Italia (non) ha votato: il quorum non è stato raggiunto, e la conseguenza più immediata è che milioni di persone rimarranno senza diritti, con meno protezione, e continueranno a essere formalmente straniere in quello che considerano il proprio Paese.
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Era inevitabile: non perché gli italiani siano incapaci di accettare, di coinvolgere, di integrare. Affatto. I sondaggi dicono da tempo che il quesito referendario trova nei suoi contenuti un consenso importante nella popolazione. Ma in un contesto come questo è irragionevole pensare che una tendenza così netta e inesorabile come quella della contrazione dell’affluenza al voto possa essere invertita, con un referendum boicottato formalmente (anche se legittimamente, sia chiaro) dal governo e dai partiti di maggioranza. Un referendum, tra l’altro, per il quale i potenziali beneficiari non avevano il diritto di voto. Dunque, la legge rimarrà la stessa. Una brutta legge, che condanna centinaia di migliaia di persone, potenzialmente milioni, a un’attesa per la cittadinanza che la burocrazia porta regolarmente a dodici, tredici, quattordici anni.
Lo sapevamo, lo sapevamo tutti che sarebbe stata una battaglia difficile. Ma era giusto farla. E chi l’ha portata avanti merita grande rispetto. Così come meritano riconoscenza tutti coloro i quali sono andati a votare. Il dato di affluenza è giusto sia commentato dai politologi più che da noi attivisti, ma c’è un punto da considerare. Fino a ieri, milioni di persone senza cittadinanza erano completamente ignorate dalle istituzioni; da oggi hanno la consapevolezza che quasi un terzo degli italiani ha sostenuto la loro causa recandosi alle urne. La sostanza però è chiara: è stata una sconfitta, la legge non cambia, così come rimarranno centinaia di migliaia le persone che, pur avendo tutti i requisiti per ottenere la cittadinanza, non potranno ancora richiederla. Tuttavia, sarebbe un errore considerare esaurita con la sconfitta referendaria questa battaglia.
Con Volti italiani abbiamo raccontato le storie di tanti e tante ragazze e ragazzi, italiani e italiane a tutti gli effetti, ma non per lo Stato. Persone che hanno scelto di costruire qui la propria vita, ma che dopo tanto tempo ancora non hanno la cittadinanza. Oppure persone che l’hanno ricevuta con grandi difficoltà, e dopo ben più di dieci anni, perse nell’insuperabile ragnatela della burocrazia. Sono persone che pensano in italiano, sognano in italiano, e soprattutto che si sentono italiane. In molti casi, sono persone nate qui, che qui hanno studiato, che qui hanno fatto tutte le esperienze più importanti della propria vita. Ecco, quelle storie, quei volti, ci sono ancora. Anzi, sono destinati a essere sempre di più. E continueranno ad avere bisogno di una voce. O meglio, di più voci. Questa campagna referendaria è stata davvero solo l’inizio, la riconoscenza di noi tutti va a chi l’ha cominciata, oggi inizia il tempo di portarla avanti.
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