Pensione avvocati: la Cassazione scarica l’errore sui pensionati
Con le sentenze gemelle di agosto 2025, la Suprema Corte ha stabilito che il calcolo va fatto solo sui redditi coperti da contribuzione effettiva, anche se ridotta da un coefficiente ISTAT errato applicato dalla Cassa Forense. Resta il nodo: l’inadempimento può dirsi davvero imputabile al pensionato?
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Ho trattato ampiamente il tema il 31 ottobre 2024 nel mio “Cassa Forense ha commesso due errori”, cliccabile al seguente link https://www.mondoprofessionisti.it/intervento/il-calcolo-della-pensione-degli-avvocati-atto-secondo/
Con una serie di sentenze gemelle, pubblicate il 18 agosto 2025, la Corte Suprema di Cassazione, sezione lavoro (22849/2025, 22850/2025, 22851/2025, 23312/2025, 23485/2025), dopo aver affermato il diritto del pensionato alla riliquidazione della pensione di vecchiaia, previa rivalutazione dei propri redditi a partire dal 1980 secondo l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 (pari al 21,1%) anziché, come operato dalla Cassa Forense, a partire dal 1981 secondo l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1981, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1981 (pari al 18,7%), ha accolto il motivo prospettato da Cassa Forense, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, Brescia e Firenze, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art. 2, legge n. 576/1980, sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt. 10 e 18 comma 4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto”.
Questo il ragionamento svolto dalla Corte di Cassazione a sostegno del principio di diritto testé indicato.
Premesso che vi fu inadempimento dell’obbligazione contributiva, occorre stabilire se tale inadempimento parziale incida sulla misura della pensione.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, legge n. 576/80, la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75% della media dei più elevati 10 redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) risultanti dalle dichiarazioni relative ai 15 anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.
La Corte di Cassazione (v. Cass. 5672/12, Cass 7621/15, Cass. 15643/18, Cass. 30421/19, Cass. 694/21) ha avuto modo di affermare, in relazione all’effettiva contribuzione dell’art. 2, che essa non ha il significato di integrale, con la conseguenza che, sebbene parziale, essa serve a far computare l’annualità di anzianità contributiva.
Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si commisura alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio, di cui al disposto dall’art.2116 c.c., che vige per il lavoro dipendente e resta inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti.
Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati effettivamente i contributi.
Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale, in ragione di una minore percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici.
Nel giudizio di rinvio, oltre ad applicare la percentuale di rivalutazione del 18,7% anziché quella del 21,1%, si dovrà indagare anche il tema della prova liberatoria perché vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., S.U., n. 13533 del 2001) mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere.
Con queste sentenze, – ma non è detta l’ultima parola – la Corte Suprema di Cassazione ha addebitato al pensionato un inadempimento che a me pare però incolpevole.
L’inadempimento è imputabile al pensionato a titolo di dolo o colpa?
Cassazione Civile, sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533 In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, le SS. UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell’inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento).
A me pare che vertiamo nell’impossibilità, non imputabile al pensionato, di adempiere.
Art. 1218 (responsabilità del debitore): il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo sia dipeso da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile;
Art. 1176, 1 comma (diligenza nell’adempimento): nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.
Se mettiamo a confronto queste disposizioni: da un lato l’art 1218 afferma che la prova liberatoria per escludere la responsabilità deve avere ad oggetto l’impossibilità della prestazione, mentre l’art 1176 nel richiedere la diligenza nell’adempimento, sembra voglia affermare che affinché si sia liberi da responsabilità, sia sufficiente essere diligenti nell’esecuzione della prestazione.
Vedremo cosa dirà il Giudice del rinvio.
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