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L’imbarazzo di un medico sindacalista

Per tutto il periodo Covid, sempre con contratto scaduto, nessuno ha chiesto a che punto sta il rinnovo del contratto di lavoro.

L’imbarazzo di un medico sindacalista

Nei giorni scorsi ben tre colleghi mi hanno chiesto a che punto sta il rinnovo del contratto di lavoro. Come tutti sappiamo il contratto è già scaduto e in realtà oggi dovremmo discutere non del vecchio contratto ma di quello nuovo. Ma questo i colleghi non lo sanno. Per tutto il periodo Covid, sempre con contratto scaduto, nessuno ha posto questa domanda. Perché oggi la pongono e maniera sempre più pressante?

La risposta è una: l’inflazione. Nasce dall’imbarazzo di dover dire: ho difficoltà economiche, il mio stipendio non basta più per mantenere il livello di vita cui ho abituato la mia famiglia. Non parliamo di fame o di povertà, non siamo ridicoli, ma di arretramento sociale si. E’ quello che la famiglia non ti perdona specie se fai tardi a casa per curare di più e meglio, specie se devi avere un telefono acceso H24, specie se ricevi avvisi di garanzia che generano rabbia e frustrazione.

Il mio professore universitario mi diceva “Il medico non deve avere problemi economici, non deve dover pensare a dove comprare le scarpe ai figli a minor costo. Deve pensare solo all’ospedale”. Altri tempi.

Ma il problema esiste, non è solo un problema di soldi ma anche di sovraccarico di lavoro stante la carenza di medici NON assunti negli anni del blocco delle assunzioni, dei tanti medici anziani esentati da tante funzioni e “104 muniti”, che fanno si che i medici apparentemente abili debbano svolgere più funzioni e/o avere un maggiore carico di lavoro. Farlo con una famiglia che, oggi più che ieri, si lamenta non è la condizione lavorativa migliore.

Qualche giorno fa il presidente dell’Ordine dei medici di Roma mi diceva che le 2022 sono aumentate (e non diminuite) le richieste di medici che chiedono i certificati per il riconoscimento della laurea all’estero.

Ma come? Con possibilità infinite di lavorare in Italia, con tanti concorsi aperti e andati deserti, i medici chiedono di andare all’estero?

Non ci vanno come negli anni passati perché in Italia non ci sono concorsi, ci vanno perché li si lavora meglio e si viene pagati molto di più.

Aprite le delibere di qualsiasi azienda, noterete come tanti colleghi si licenziano per opportunità trovate nel privato che oggi remunera meglio e ha una tassazione più bassa. I medici “seguono la scia”, come tutti. Una volta che una strada è tracciata, ed è ritenuta sicura, la percorrono. Oggi tanti medici vengono convinti dai medici che prima di loro hanno tracciato quella strada, vedono e sentono come si vive in quegli ambiti, vengono informati in tempo reale dai medici che li hanno preceduti delle opportunità che offre quell’ambito lavorativo.

Contestualmente sanno cosa li attende negli ospedali in Italia, fanno un paragone e scelgono. Il mio ospedale vede tra i suoi medici tanti medici provenienti dalla Calabria, io sono uno di loro. Lavorano qua per questo stesso motivo, il Calabria le strutture non erano delle migliori, i colleghi che li hanno preceduti gli hanno mostrato la via di fuga. Nulla di nuovo, solo che oggi la via di fuga è anche oltre confine. La lontananza non è più un problema, uno spauracchio, un deterrente: da Reggio Calabria, da Palermo in aereo si raggiunge prima Parigi o Berlino che il viaggio in treno per Pinerolo.

Ecco perché speriamo molto che le prime dichiarazioni del Ministro trovino reale attuazione. I medici (e dico io anche tutti gli altri operatori sanitari) vanno pagati di più. Subito, non domani.

Il prossimo (già scaduto) contratto di lavoro deve poter disporre di nuove risorse che permettano di aumentare il tabellare ma anche di poter meglio retribuire il “merito” e il “disagio”, l’area dell’emergenza.

Oggi per gli operai si parla di riduzione del cuneo fiscale. Noi medici abbiamo una tassazione del 43 % cui si sommano tasse regionali e comunali oltre alla contribuzione INPS.

Il nostro Cuneo va tagliato, soprattutto va eliminata la tassazione al 43% per le prestazioni aggiuntive, (straordinario, produttività aggiuntiva, pronta disponibilità, guardia notturna e festiva) ovvero tutte le voci che stanno nel fondo del disagio.

Oggi, in carenza di medici, abbiamo bisogno di maggiore “ore lavoro” e se non le rendiamo appetibili nessuno vorrà (ma già oggi vuole) farle. Dobbiamo incentivare i colleghi che lavorano in condizioni disagiate altrimenti la “crisi dei pronto soccorsi”, la disaffezione per le discipline chirurgiche non solo non si risolve ma aumenterà.

Vedete, l’imbarazzo non è solo del collega che chiede aiuto, è anche il mio che dovrei dirgli che se si farà il nuovo contratto, se tutto va bene, riceverà in più il 4% con una inflazione che oggi è al 12%.

Meglio tacere, arrossire e andare oltre.

Tratto da QuotidianoSanità

 

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