Anno: XXV - Numero 71    
Mercoledì 24 Aprile 2024 ore 16:45
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L’illegalità e la deontologia forense

La “saga degli illegittimi” credo sia ormai nota a molti avvocati avendo già interessato le Magistrature di merito, di legittimità e financo la Corte Costituzionale e perché non accenna a placarsi provocando “Manifesti” dal basso che fanno sentire le pecore nere meno sole.

L’illegalità e la deontologia forense

L’illegalità è un sostantivo femminile che esprime la mancata rispondenza alla lettera e allo spirito della norma giuridica vigente.

L’illegalità diffusa è oggi uno specifico intreccio che si è andato costruendo e consolidando nel corso di più di due secoli e che, oggi più che mai, nel delicato frangente dell’attuale recessione mondiale, rappresenta un’ipoteca devastante sulla vita dei cittadini italiani.

«Mafia e corruzione stringono in un abbraccio mortale l’Italia, compiendo ogni giorno un vero e proprio furto di futuro non solo ai danni delle prossime generazioni, ma anche rappresentando un fattore nel processo d’impoverimento attuale che si aggiunge ai già di per se devastanti effetti della crisi economica all’opera» (Il consenso di illegalità, contributo di Lorenzo Frigerio, Coordinatore nazionale della Fondazione Libera Informazione).

Ora è accaduto, storicamente, che nel nostro microcosmo forense un numero non indifferente di illegali sia stato addirittura acclamato all’unanimità in un determinato consesso.

Ovvio che gli illegali contestino la illegalità aspettando il passaggio in giudicato delle sentenze come è nel loro sacrosanto diritto, ma ciò che rileva, a mio avviso, è la deontologia.

 Il nuovo Codice deontologico forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante “per quanto possibile”, poiché la variegata ed illimitata casistica di tutti i comportamenti costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione tassativa e non meramente esemplificativa.

Nella professione forense la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione, non genera l’immunità, perché è possibile contestare l’illecito sulla base delle norme di chiusura, secondo cui la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza (Cass., S.U. 18.07.2017, n. 17720, Codice deontologico: illeciti e sanzioni del prof. Leonardo Carbone).

Ora, a mio sommesso avviso, ma io sono un quivis de populo alla periferia dell’Impero, acclamare l’illegalità, ancorché contestata, non solo non è decoroso e dignitoso, ma espone l’acclamante a conseguenze giuridicamente rilevanti, sul piano della responsabilità amministrativa, di quella erariale e, sotto alcuni profili, anche penale.

La competenza a valutare tutta questa complessa situazione dal punto di vista della deontologia forense spetta ai Consigli Distrettuali di disciplina forense sul territorio, su impulso dei vari COA, tenendo presente che, in base all’art. 69, n. 1, l’avvocato, chiamato a far parte delle istituzioni forensi, deve adempiere l’incarico con diligenza, indipendenza e imparzialità e che la violazione del dovere di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Mi pare vi sia materia per una serena riflessione a margine di quanto accaduto, il tutto in nome della dignità della persona che ha tutti i diritti di difendersi ma non può esporre la istituzione alla sua delegittimazione.

In un discorso articolato sulla dignità umana occorre premettere che in essa convergono due concezioni dell’uomo e dei suoi diritti: quella religioso-cristiana del fondamento e quella laico-giuridica dei contenuti (G.M. Flick, La Stampa, 28.5.05).

 Che cos’è, dunque, la dignità umana?

Il termine dignità (dal latino dignitas, dignus,) significa eccellenza, nobiltà, valore: perciò degno è ciò che ha valore e quindi merita rispetto. La dignità della persona umana significa che la persona umana merita assoluto rispetto per sé. La dignità dell’essere umano è un valore cultu¬rale che fonda tutti gli altri valori, compresi quelli etici, nonché tutti i diritti a lui riconosciu¬ti, perché la dignità umana nasce con la nascita dell’essere umano.

Invece che tanti convegni, che servono solo per maturare crediti, sulla deontologia meglio sarebbe approfondire il tema dell’etica della responsabilità della quale vi offro uno spunto.

 

Aristotele

In filosofia il concetto di responsabilità implica quello di libertà e libero arbitrio, nel senso che ciascuno può essere ritenuto responsabile del suo operato se questo è avvenuto in base ad una libera scelta e non per condizionamenti necessitanti dovuti a leggi fisiche, psichiche o socioeconomiche. In quest’ultimo caso infatti, la teoria del determinismo esclude la responsabilità personale o la attenua attribuendola non del tutto al singolo ma, ad esempio, alla collettività sociale.

Aristotele si era già posto il problema della volontarietà o meno dell’azione dannosa quando aveva sostenuto che se la causa dell’agire è in noi ne siamo responsabili, il contrario se la causa è fuori di noi, intendendo che un soggetto è responsabile nel momento in cui

– la causa dell’atto è interna al soggetto, cioè se il soggetto non è costretto ad agire da qualcuno o qualcosa di esterno;

– l’atto non è risultato dall’ignoranza, cioè se il soggetto è anche cosciente dell’azione che compie.

 

Max Weber

Max Weber analizzando il rapporto tra etica e politica, in La politica come professione, chiama “etica della convinzione” (o “etica dei princìpi”) quella che fa riferimento a valori morali tali che l’azione da questi ispirata possa essere valutata come giusta o ingiusta, senza tener conto delle possibili conseguenze. Questa etica si ritrova in tutte quelle ideologie, politiche o religiose, che esprimono principi assoluti tali che sia impossibile dubitarne così da giustificare un’azione rivoluzionaria o l’obbedienza cieca a degli imperativi. Vi è poi, secondo il sociologo tedesco, l'”etica della responsabilità” che si esprime nella vita sociale dove le conseguenze possibili delle proprie azioni vanno accuratamente valutate in base al principio dell’«agire razionale rispetto allo scopo».

 

Hans Jonas

L’etica della responsabilità viene estesa da Hans Jonas nel tempo e nello spazio, nel senso che le nostre azioni vanno valutate per le conseguenze non solo nei confronti dei contemporanei ma anche di coloro che «non sono ancora nati» e verso l’intera biosfera che dobbiamo tutelare dalle nostre compromissioni. Nella sua opera Il principio responsabilità (“Das Prinzip Verantwortung”), edito nel 1979, Jonas esprime il principio cardine di un’etica razionalista applicata in particolare ai temi dell’ecologia e della bioetica. Egli sostiene la necessità di applicare il principio di responsabilità ad ogni gesto dell’uomo che “deve” prendere in considerazione le conseguenze future delle sue scelte e dei suoi atti.

Dopo la crisi della razionalità etica provocata dalle elaborazioni di Friedrich Nietzsche, si registra nel pensiero del XX secolo l’esigenza di restituire l’etica alla plurale concretezza del mondo e della vita, osservando che la ricerca di principi universali condiziona le decisioni e le scelte sull’ambiente, sull’economia, sulla comunicazione e, in sintesi, sulla vita del genere umano. Tale esigenza, che porta ad una ripresa dell’universalismo kantiano e dell’idea di “dovere” quale fondamento della morale, si rinviene nel pensiero e negli scritti di Hans Jonas, teorico dell'”etica della responsabilità”, che elabora, così come Weber, un concetto di etica orientata al futuro. Hans Jonas inserisce la propria proposta teorica nel provocatorio progetto della fondazione dell’etica nell’ontologia, in nome della salvaguardia dell’essere e dell’umanità nell’Universo minacciato dalla tecnica, con le sue conseguenze distruttive sul piano planetario. L’imperativo dell’etica della responsabilità viene così kantianamente formulato: “Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana”.

 

Jacques Derrida

Uno sviluppo più specificatamente filosofico di questo tema della responsabilità si deve alla più recente filosofia francese di Emmanuel Lévinas e di Jacques Derrida, i quali hanno notato la problematicità di questo concetto se lo si mette in relazione con il principio giuridico di “imputabilità”. Premesso che responsabilità vuol dire “rispondere” delle proprie azioni, questa risposta e la conseguente decisione non potrà attuarsi in senso assoluto. Per esempio un governante dovrà “rispondere” agli interessi dei suoi concittadini mettendo da parte, “non rispondendo” ai propri interessi personali. Ciascuno di noi non può rispondere a tutte le “chiamate” come Abramo che risponde a Dio che lo chiama al sacrificio del figlio Isacco, ma non risponde alla voce simultanea che lo chiama a salvargli la vita. Quand’è che l’uomo sarà allora “imputabile” per aver risposto responsabilmente a quali chiamate lasciando altre inascoltate?

(https://eu.docworkspace.com/d/sIFPWgKFIoIichgY).

Da Diritto e giustizia

 

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