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Liberismo o dirigismo per l’avvocatura italiana?

La situazione della categoria (se così si può definire, nonostante un insieme di individualismi esasperati, spesso in contrasto tra di loro), è ben descritta nell’ultimo Rapporto Censis e negli studi attuariali di Cassa Forense.

Liberismo o dirigismo per l’avvocatura italiana?

241.000 iscritti circa, dei quali solo l’8% dichiara redditi pari o superiori al tetto pensionabile che è di € 100.000,00 all’anno. La stragrande maggioranza non rientra più nella classe media italiana che dichiara circa € 35.000,00 di reddito all’anno (il 79,2% degli italiani dichiara redditi fino ad € 29.000,00 e corrisponde solo il 27,57% di tutta l’IRPEF, e quindi un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di welfare). Quindi si può parlare di uno sviluppo geometrico della professione negli anni accompagnata da un progressivo impoverimento, sia culturale che reddituale. Oggi quell’8%, liberista, sta in vacanza, lo si vede sui social, dove ostenta in mille modi il suo status. Tutto il resto, che non può ostentare se non la povertà, resta indifferente a tutto e non c’è verso di smuoverlo.

I liberisti non riconoscono la disgregazione sociale prodotta dalle crescenti disuguaglianze reddituali e guardano solo alle opportunità che il mercato libero offre, ma la realtà, sotto gli occhi di tutti, sempre che si vogliano aprirli, è che i pochi avvocati ricchi, diventano sempre più ricchi e i molti poveri, sempre più poveri. L’ascensore sociale, come si dice, non funziona più.

L’élite governa le istituzioni forensi e si compiace che alcuni avvocati siano stati nominati, in questi giorni, nel comitato tecnico per l’attuazione della riforma tributaria, formato da un comitato di coordinamento generale, da una segreteria tecnica e da commissioni di esperti.

Tutto bene ma se si va a leggere fino in fondo il decreto, si scopre, all’art. 7, che «la partecipazione ai lavori del comitato tecnico per l’attuazione della riforma tributaria è in ogni caso gratuita e non da diritto a compensi, emolumenti o altre indennità, né a rimborsi spese» (dato in Roma il 04.08.2023).

Ora io mi domando: ma chi può partecipare a queste commissioni? La risposta è molto semplice: solo l’avvocatura in bonis. E tutti gli altri? Sono destinati a rimanere nel loro stato. Ne consegue che il liberismo nell’avvocatura italiana ha provveduto solo alla sua divaricazione reddituale e che serve oggi, più che mai, l’intervento dello Stato per garantire a tutti, non lo stesso reddito, ma uguali possibilità.

Le ricadute previdenziali di siffatta divaricazione reddituale a me sembrano facilmente intuibili e sono ben descritte nei miei quaderni di approfondimento che invito a leggere qui.

 

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