Anno: XXV - Numero 52    
Giovedì 28 Marzo 2024 ore 15:40
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L’avvocatura è un malato terminale

Nel 2012 così il Presidente dell’Ordine degli avvocati di Bari, Virgintino, apriva i lavori del XXXI Congresso Nazionale Forense

L’avvocatura è un malato terminale

«Discuteremo in questo Congresso, in questa libera Assemblea, del disagio in cui versa l’Avvocatura italiana, per il susseguirsi di provvedimenti legislativi che minano e mortificano, all’un tempo, la Giurisdizione e la Professione forense Discuteremo delle cause di quello che sembra una deriva inarrestabile della nostra Professione e di quali siano i possibili e improcrastinabili rimedi.

Ne discuteremo perché quello che ciascuno di noi qui riuniti e ciascuno degli Avvocati italiani vuole è l’affermazione chiara e netta del nostro diritto di lavorare, con serenità e con dignità, al servizio dei Cittadini, a tutela della Giurisdizione e a difesa della Democrazia e della Libertà.

Ed è nostro dovere farlo con serietà, scrupolo, preparazione e specializzazione.

Questo Congresso dovrà licenziare il “Manifesto della libera avvocatura” che tracci la via del nostro futuro e ne affermi con forza i principi irrinunciabili e non negoziabili, primo fra tutti l’esplicitazione chiara e netta, in attuazione concreta dell’art.24 della Costituzione della Repubblica italiana, che la difesa dei diritti è prerogativa esclusiva dell’Avvocato, perché questo intendevano affermare i Padri costituenti e prima ancora di essi, la Storia.

Ma per raggiungere questo obiettivo, è necessaria una unità di intenti che metta in disparte ogni ambizione personale e disveli, senza infingimenti e ipocrisie, le nostre debolezze e le nostre responsabilità.

C’è un tempo per ogni cosa, e oggi è tempo che l’Avvocatura italiana parli con una voce sola. E’ tempo di superare la sofistica distinzione fra rappresentanza politica e rappresentanza istituzionale ed è tempo di accettare senza riserve la regola della maggioranza e della minoranza. E’ tempo di ricostruire il nostro patto sociale sulla solidarietà e sull’etica dei comportamenti.

Da qui possiamo e dobbiamo ripartire per rivendicare il nostro ruolo e la nostra funzione nella società italiana ed europea.

Da qui, oggi, da questo Teatro simbolo della ferma volontà di ricostruire, deve partire il new deal dell’Avvocatura italiana».

Quello che è accaduto in questi ultimi dieci anni è noto a tutti.

Il new deal non c’è stato.

Dopo le recenti dimissioni al CNF, a seguito di provvedimenti giurisdizionali, mi pare interessante fare il punto della situazione con l’avv. Michelina Grillo di Bologna, già Presidente OUA, che così scrive nel suo blog:

“Si sono già svolte per lo più le elezioni suppletive per il CNF nei Distretti ove erano venuti meno i componenti di spettanza, da un lato per effetto delle dimissioni dell’avv. Baldassarre e dall’altro per effetto delle dimissioni del Presidente Mascherin e degli altri dichiarati con lui ineleggibili con doppia conforme.

L’elezione dei nuovi componenti non fa notizia, visto che, almeno per quanto è dato sapere, nei singoli Fori non se ne parla affatto, nessuno sa come e perché siano stati prescelti gli eletti o gli eligendi, non si sa che c’è l’elezione e non viene comunicato nulla neppure ad elezione avvenuta.

Tranne la lodevole eccezione dell’elezione di Francesco Favi nel distretto di Catania, che è stata salutata con grande favore e annunciata anche sulla stampa, non ci risulta pubblicizzata alcuna altra elezione, che pur sappiamo essere avvenuta.

Ci domandiamo quindi il perché di tutto questo silenzio intorno a designazioni (perché di questo si tratta) che dovrebbero essere di interesse di tutta la categoria, e sicuramente degli iscritti ai Fori del Distretto, mentre, per contro, si susseguono e circolano liberamente voci di corridoio, più o meno forti e diffuse, secondo le quali in alcuni distretti vengono rotti senza remore “patti” elettorali precedenti e si sono formate nuove “cordate” che prevedono cariche a tempo e addirittura successori alle prossime elezioni, e che, guarda caso, comprendono anche qualche ineleggibile che cerca così di riciclarsi in altra sede. E così, tristemente, l’avvicendamento rischia di portare sugli augusti scanni della “massima istituzione forense” (sic…!) soggetti che in nulla si differenzieranno da chi li ha preceduti, vanificando ogni e qualsiasi sforzo innovatore, qualsiasi decisa svolta, di cui per vero vi sarebbe gran bisogno, anche se forse è già troppo tardi.

Ma, del resto, anche dimissioni di componenti COA si susseguono qua e là senza che sia dato saperne in via ufficiale i reali motivi, lasciando ampio spazio alle più varie e spesso non onorevoli illazioni.

Francamente di queste manovre da basso impero, che non ci appartengono, ci interesserebbe assai poco se non fosse che vengono avallate, o con l’aperto appoggio o con il complice silenzio, dagli iscritti agli albi di quei distretti, con poche – troppo poche – lodevoli eccezioni.

Ci domandiamo quindi se anche nell’avvocatura ad ogni livello si è sparso il virus malsano che si è diffuso da qualche tempo nella nostra società: quello che conduce chiunque, e quindi anche chi dovrebbe a ben vedere “stare dall’altra parte”, a ritenersi al di sopra di ogni legge e di ogni regola, in nome della “legge del più forte”, che vorrebbe subordinare addirittura l’applicazione della legge al voto popolare (vi ricorderete tutti, immagino, dei casi eclatanti – tra cui quello del Silvio nazionale, e non solo lui  – nei quali i consensi elettorali dovevano valere di più delle norme di legge che si assumevano violate). Ci domandiamo se un avvocato che sia tale possa confondere i due livelli e ritenere apprezzabile chi viola la legge e un fastidioso rompiscatole, se non di peggio, chi invece si adopera per farla rispettare. Ci domandiamo come mai chi ha violato la legge, chi ha resistito e in alcuni casi ancora resiste al di là di ogni ragionevolezza esponendo la categoria a giudizi esterni non certo positivi, possa ancora avere il sostegno e il voto dei colleghi o designare i suoi successori, che magari gli terranno in caldo la poltrona. E ci domandiamo ancora se potrà avere mai fine il gorgo viscoso e non certo virtuoso nel quale da anni si avviluppa l’avvocatura, nel quale da un lato c’è chi ha avuto ed ha la ventura di “comandare” e gestisce i propri incarichi e ruoli come fossero cosa propria e non nell’interesse generale, anche qui con pochissime eccezioni, senza alcuna trasparenza, anzi ritenendosi non soggetto alle norme che la prevedono, beffandosene di regolamenti e leggi ed anzi ricercando con cura le vie, ancorché tortuose e dubbie, per far prevalere i propri desiderata, e dall’altro la moltitudine dei “normali”, che in parte ambisce a sostituire i potenti, pensando di poter un domani ergersi sulla massa indistinta e godere della medesima posizione privilegiata, con corredo di benefit e di connessa visibilità, ed in parte, piegata dalle quotidiane necessità sempre più cogenti, non ha tempo né voglia di dedicarsi a studiare e meditare la storia degli ultimi 30 anni di avvocatura e impegnarsi attivamente in qualcosa, ad eccezione di convegni in località prestigiose, relazioni e pubblicazioni che possono portare un ritorno personale, cene e aperitivi che gratificano l’immediato e possono favorire conoscenze, magari se va bene anche utili.

Purtroppo l’apatia di molti e la palese condivisione e partecipazione di altri alle medesime logiche che in tempi normali l’avvocatura avrebbe decisamente e fieramente combattuto (sì, l’avvocatura, non quella un po’ molliccia e dai costumi assai rilassati di oggi, ma quella dei Calamandrei e di altri che vengono spesso citati, ma mai realmente imitati), ci fanno pensare che quel gorgo, quella spirale perversa, non possa venire arrestata, malgrado i richiami, i contenziosi, le sentenze, le figure decisamente meschine a cui ci hanno esposto e ci espongono tuttora. E così quel gorgo, quel vortice, di cui ogni iscritto porta parte di responsabilità attiva o omissiva, si agita su uno scenario di distruzione del sistema giustizia, che oramai è tutto fuorché tale per effetto di una politica di breve respiro ed assai poco competente e dell’agire di una magistratura in larga parte screditata e fuori ogni reale controllo.

E così, tristemente, osserviamo questa avvocatura ripiegata su se stessa ed incamminata sul viale del tramonto ideale, della definitiva decadenza dei principi e dei valori, di una fine ingloriosa che malauguratamente travolgerà anche quei pochi che ancora inseguono un ideale e per i quali legge, onore, decoro, deontologia, diritti, appartenenza, rigore, serietà sono parole che hanno ancora un significato pregnante”.

Per contro il Cnf ritorna all’antico: «Ritengo molto significativa la ferma convinzione e il rinnovato sostegno del vicepresidente del Csm, David Ermini sulla necessità di tutelare alla stessa maniera l’indipendenza e l’autonomia, anche intellettuale, di avvocati e magistrati, e quindi della giurisdizione italiana».

Lo afferma la presidente facente funzioni del Consiglio nazionale forense, Maria Masi commentando l’intervento di oggi del vicepresidente del Csm al congresso dell’Unione Camere penali.

«I tempi sono certamente maturi – prosegue Masi – per riavviare il percorso parlamentare sul riconoscimento dell’avvocato in Costituzione, a garanzia del corretto e pieno esercizio del diritto di difesa. Già nel recente passato il progetto del Cnf sul tema del rilievo costituzionale dell’avvocatura, aveva ottenuto l’impegno della politica tanto che esiste un disegno di legge, depositato in Senato. Ripartiamo da lì, con un’unità di intenti: il rafforzamento dello Stato di diritto e dell’intera giurisdizione a favore dei cittadini».

Da Diritto e Giustizia

 

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