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Martedì 23 Aprile 2024 ore 13:20
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La denatalità aiuterà Cassa Forense se aumenterà il reddito delle avvocate

La situazione generale in ordine al problema della denatalità è stata ben descritta dal Presidente dell’INPS nella sua recente relazione alla presentazione del Rapporto 2020 che trascrivo di seguito.

La denatalità aiuterà Cassa Forense se aumenterà il reddito delle avvocate

«Denatalità e assegno unico Uno degli aspetti più problematici che oggi vive il nostro paese è la scarsa natalità. Questo ovviamente ha un impatto sia sul mercato del lavoro che sulla sostenibilità della crescita economica. La società italiana sta perdendo il contributo dei giovani, identificabili come la fascia entro i 29 anni: erano il 51,6% della popolazione nel 1951, sono oggi circa il 28%. Al rischio di diventare una risorsa sprecata si coniuga il rischio di costo sociale, che già oggi si concretizza nella disoccupazione e dei Neet, la permanenza in famiglia, la scarsa o nulla partecipazione sociale. Già nel 2016 il Presidente Draghi, allora presidente Bce, l’ha descritta come “lost generation”, la generazione perduta. Altri paesi europei hanno adottato più precocemente politiche che contrastassero la riduzione della natalità. Di contro, il nostro Paese vede un aumento sproporzionato della popolazione anziana. Qualche decennio fa questo squilibrio era concentrato soprattutto al Centro-Nord, ma ormai è diffuso in tutto il Paese. Secondo l’Istat, l’indice dipendenza (il rapporto tra la popolazione non attiva sulla popolazione attiva) è da anni superiore al 50%; e l’indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra la popolazione con età maggiore di 65 anni sulla popolazione con età inferiore a 14 continua a crescere con un aumento di oltre 5 punti percentuali tra il 2019 e il 2020, raggiungendo quota 179,3 anziani ogni cento giovani. Con una popolazione stabile che lavori per 40 anni, una riduzione delle nascite dell’1% non compensata da aumenti di produttività richiede di lavorare 4,8 mesi in più per mantenere inalterato il valore aggiunto prodotto. L’ingresso di lavoratori dall’estero, che rialzino i tassi di fertilità e/o occupino i posti di lavoro che restano scoperti, ha solo in parte compensato lo squilibrio. Negli ultimi 15 anni i giovani italiani sotto i 15 anni sono calati (da 7,8 milioni a 6,8 milioni) più di quanto abbiano compensato i giovani stranieri (saliti da 367mila a 968mila). Le cose si aggraveranno col trascorrere del tempo, data la composizione non omogenea per fasce d’età della popolazione italiana. Quando volgerà al termine il ciclo di vita demografico dei cosiddetti baby boomers, il ritmo di uscita non sarà compensato da quello di entrata. Gli interventi volti a riequilibrare le proiezioni demografiche producono effetti lentissimi. Siamo in grave ritardo e occorrerà molto tempo per rimediare ma ciò non può essere una giustificazione per procrastinare ulteriormente. In questo contesto, la domanda di welfare tenderà ad aumentare per effetto dell’aumento della spesa sanitaria a causa dell’invecchiamento della popolazione e per l’incremento della spesa assistenziale. Quest’ultima, infatti, cresce anche per un mercato del lavoro che sta esprimendo maggiore esigenza di protezione a causa di aumenti di flessibilità, a volte eccessivi, per effetto delle riforme degli ultimi decenni, che in alcuni casi hanno determinato carriere lavorative più intermittenti, redditi instabili e precari. Come ha dimostrato la crisi pandemica, l’accresciuta incertezza e irregolarità lavorativa riduce la contribuzione media degli assicurati e contemporaneamente ne aumenta la domanda di sostegno al reddito di tipo compensativo. Si registra una crescita di lavoratori part-timers (specialmente quelli involontari), con le donne in misura preponderante. La conseguenza è un allargamento dei divari reddituali e contributivi tra uomini e donne, e l’ampliamento del dualismo tra Centro-Nord e Sud Italia. Le diseguaglianze retributive si riproducono poi in quelle pensionistiche, anche a causa del meccanismo contributivo, e vi è una redistribuzione “perversa” secondo la quale coloro che guadagnano meno vivono anche meno. Il calo delle nascite e i conseguenti effetti negativi sul mercato della lavoro e sulla crescita meritano dunque un’attenzione politica più aggressiva su tre fronti: prima di tutto il sostegno alla natalità; in secondo luogo l’ampliamento della base contributiva soprattutto al sud, con l’emersione del lavoro irregolare e la regolarizzazione degli stranieri, da una parte, e la spinta verso più alti tassi di partecipazione, soprattutto da parte delle donne; e in terzo luogo l’incremento della produttività del lavoro. L’assegno unico, introdotto il 1° luglio scorso nel nostro sistema, e gestito dall’Inps attraverso una procedura molto semplificata (figlia delle innovazioni dell’Istituto e dell’approccio once only, che non chiede dati ai cittadini, perché usa quelli che già ha), rappresenta un passo importante nella giusta direzione, da completarsi nel 2022 con la misura a regime, e incrementata nelle risorse. Si tratta di un contributo che oggi arriva fino a 218 euro per figlio (per nuclei con più di due) in presenza di Isee basso, e che si riduce sulla base dell’aumento dell’Isee. La nuova misura, insieme ad una politica che miri ad incrementare la disponibilità e l’accessibilità degli asili nido, ed insieme a forti politiche di conciliazione famiglia-lavoro, potrebbe dare un contributo alla ripresa delle nascite e alla produttività. Ma non è tutto: andrebbe reso il congedo di maternità obbligatorio e più lungo anche per gli uomini, e la contribuzione sulle donne madri essere agevolata, sia ai fini pensionistici che in termini di costo del lavoro per le aziende. Occorre anche ripensare il ruolo dei giovani nella società italiana, lavorando a partire da scolarizzazione, occupazione, abitazione e uscita dalla famiglia di origine. Tali aspetti in particolare necessitano di interventi specifici volti, da una parte, a migliorare la qualità della formazione e, dall’altra, a favorire un maggior assorbimento dal tessuto produttivo, capace di evitare quel fenomeno di brain drain che negli anni recenti ha accompagnato la fuga di molti nostri giovani adeguatamente formati e specializzati. A tal fine andrebbero introdotti non solo sgravi contributivi selettivi per le aziende, ma anche politiche di incoraggiamento per gli stessi giovani, quali il riscatto gratuito della laurea a fini pensionistici e di periodi di formazione. A ciò deve aggiungersi una politica che miri ad allargare la base contributiva, incoraggiare i tassi di partecipazione, e contrastare il lavoro nero: oltre tre milioni sono i lavoratori che non contribuiscono al fisco e alla previdenza, e molti di più sono gli inattivi. Essendo questi due problemi presenti maggiormente nel Sud, sarebbe necessario concentrare maggiormente investimenti e politiche pubbliche nell’incidere per riequilibrare questo pesante e storico dualismo. Un contributo può venire anche dalla ripresa delle assunzioni nel pubblico impiego, obiettivo che il Governo sta perseguendo con determinazione, anche in vista dell’attuazione del PNRR. Nell’ultimo decennio il nostro paese si è infatti caratterizzato per un tasso di occupazione pubblica, in rapporto alla popolazione, inferiore alla media dei principali paesi dell’Ue, e la crescita, nell’ultimo decennio, è stata negativa. Anche l’occupazione in Inps ha sperimentato questa riduzione, mentre le sue attività e i suoi servizi al Paese sono aumentati. Nei paesi dove i tassi di crescita della popolazione sono più alti, come in Francia o in Svezia, i tassi di occupazione femminile sono anche più alti. Ciò vuol dire che il lavoro e la stabilità reddituale, insieme alle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, contribuiscono alla natalità. Infine, giovani adeguatamente formati, che si inseriscono nel mercato del lavoro con un bagaglio appropriato di conoscenze informatiche e digitali, oltre che professionali, possono essere funzionali a quella svolta, oggi più che mai necessaria, di digitalizzazione, non solo nella PA ma anche nel settore privato. Sono questi, nel lungo periodo, i driver della produttività del lavoro. L’Istituto offre anche un contributo sul fronte delle infrastrutture materiali del sistema educativo: con il Fondo Immobiliare Aristotele investiamo in campus e residenze universitarie, mentre sono attive diverse borse di studio e strutture di convitto. Sul versante immobiliare l’Inps ha intrapreso, grazie anche a innovazioni normative intervenute nel 2020, una decisa azione di valorizzazione del patrimonio immobiliare attraverso vendite a inquilini ed enti locali per fini sociali, in particolare in aree ad alta intensità abitativa e popolare. Parallelamente, le vendite permettono di investire in immobili a scopi strumentali laddove necessario, per nostre sedi sul territorio. Nel triennio 2020-2022 sono previste vendite per 450 milioni di euro in relazione a un patrimonio complessivo stimato in 2 miliardi».

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