Anno: XXV - Numero 76    
Venerdì 3 Maggio 2024 ore 13:15
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Il superenalotto delle pensioni forensi

L’accesso alla bozza della riforma con gli emendamenti, da Cassa Forense mi è stato negato, affermando che sarebbero atti preparatori, non ostensibili. Però la manovra di bilancio è pubblica e cosi gli emendamenti, ma tant’è “chi ha la penna in mano, scrive” come chiosano i toscani.

Il superenalotto delle pensioni forensi

Il testo della riforma, approvato a fine ottobre, non è ancora stato pubblicato. Seguo i convegni sul tema dove la narrazione spesso contrasta con i principi fondamentali della previdenza senza che nessuno, tra i pochi presenti, alzi la mano per dire … ma no guardate che non è cosiil contributivo non è più vantaggioso del retributivo, per esempio, se non per chi ha redditi molto alti! Silenzio e applausi il che certifica lo stato di confusione previdenziale. Constato poi molto disinteresse nella avvocatura e vedo che chi è entrato nel sistema, con velleità di cambiamento, si è subito allineato al sistema. La probabilità di indovinare la sestina vincente del superenalotto è di 1:622.614.630 cioè, come ha scritto il matematico Roberto Natalini del CNR, è più probabile che l’asteroide 99242 Apophis colpisca la Terra nel 2036 con una probabilità di 1:40.000.

Quale sarà la probabilità di aver in futuro la pensione forense? Partiamo dai dati ufficiali e cioè dal Bilancio tecnico specifico di CF al 2020. Il tasso di occupazione per gli anni 2021 – 2024 è pari a 0,63 e, per il periodo dal 2025 al 2030, nello 0,45 e poi 0 sino al 2070. Oggi sappiamo che il dato riferito agli anni 2021 e 2022 è sbagliato a causa delle numerose cancellazioni che sono intervenute e che, prevedo, continueranno. Altrettanto per il tasso di inflazione stimato per il periodo 2022 – 2024 allo 0,88, dal 2025 al 2030 nell’1,68 e poi il 2% fino al 2070. Oggi viaggiamo con una inflazione a doppia cifra e quindi tutte le proiezioni, per quanto riguarda il tasso di occupazione e il tasso di inflazione, sono sbagliate il che si riverbera sul prodotto finale. L’inflazione europea è vicino al picco ma il suo declino sarà lento. A dichiararlo, ieri, è stato Philip Lane, il capo economista della Bce, che ha aggiunto «è ancora incerto se il massimo sia arrivato o arriverà all’inizio del 2023». Detto questo ora incrociamo i dati ufficiali della demografia, sommando i pensionati attivi con tutti gli altri pensionati. Il quadro è il seguente:

di occupazione complessiva pari allo 0% e, dunque, un’ipotesi di stazionarietà della collettività degli iscritti contribuenti al livello raggiunto sull’anno di proiezione 2030. Tale ipotesi condivisa con la Cassa può essere in parte sostenuta anche in considerazione della potenziale ripresa economica del sistema Italia a seguito dell’efficace utilizzo dei fondi provenienti dal PNRR» (Fonte: Bilancio tecnico specifico della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, 31/12/2020, Roma 31 marzo 2022, ACRA).

Come si vede nella fascia gialla della tabella, intorno agli anni 2051-2056 si manifesta la criticità dei numeri perché i pensionati per un certo numero di anni risultano superiori agli attivi. La conseguenza sarà che le pensioni dipenderanno dal rendimento del patrimonio e dal patrimonio intanto accumulato che è affidato al rischio dei mercati finanziari. In un contesto di mercato complesso e difficile, in cui le asset class tradizionali, come l’azionario e l’obbligazionario, registrano performance negative, le strategie di trend following (cioè saltare sui trend, un po’ come i surfisti sulle onde) si distinguono, evidenziando buoni risultati ma, a mio giudizio, sono incompatibili con la natura previdenziale della provvista.

Veniamo al punto dolente: chi si iscrive oggi in CF ha la garanzia della pensione? La risposta oggi è: dipenderà dall’andamento dei mercati finanziari. Ma questo risponde al dettato dell’art. 38 della nostra Costituzione? «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di vecchiaia». Non credo proprio. Se la pensione dipende dai mercati finanziari è necessaria la garanzia finale dello Stato (per ogni altra considerazione rinvio al mio “Il diritto a pensione è fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile e mal si concilia con l’alea dei mercati finanziari,”).

Inviterei tutti alla lettura del 56 rapporto del Censi sulla situazione italiana, ne ho estrapolato alcuni passaggi che ritengo attualissimi allo scopo.

«L’erosione di due pilastri dell’architrave sociale: libere professioni e rappresentanza. Poco meno di 4 milioni di lavoratori indipendenti hanno avuto accesso all’indennità di 600 euro. 1,4 milioni di commercianti, 1,2 milioni di artigiani e circa 300.000 coltivatori diretti e altre figure impegnate nelle attività agricole rappresentano tre quarti del totale dei beneficiari (circa 3 milioni) che hanno potuto ottenere una compensazione della perdita di reddito nel corso dell’emergenza. La spesa complessiva per queste categorie si aggira intorno a 1,7 miliardi di euro, poco meno del 74% del totale di 2,3 miliardi. Nelle libere professioni e nell’area degli iscritti alla gestione separata dell’Inps – un totale di circa 2,5 milioni di liberi professionisti e collaboratori – un milione è risultato beneficiario dell’indennità di 600 euro. Vi hanno avuto accesso 38 iscritti alle Casse su 100 e il 42% degli iscritti alla Gestione separata dell’Inps. Queste cifre danno conto dell’area del disagio che ha colpito le libere professioni. Dei professionisti con Cassa hanno avuto accesso al reddito di ultima istanza il 60% dei geometri, il 59% degli architetti e ingegneri, il 57% degli avvocati, il 56% dei veterinari, il 55% degli psicologi, il 40% dei consulenti del lavoro e il 38% dei commercialisti.

L’enigmatico futuro dei pensionati italiani. Dopo essersi ritrovati nel periodo pandemico al vertice della piramide dei garantiti, il ritorno improvviso e inatteso dell’inflazione ha collocato i pensionati tra coloro che sono più esposti all’erosione del potere d’acquisto. Pensando al proprio futuro, solo il 38,7% si sente con le spalle coperte sul piano economico (nel 2019 il dato era al 68,2%). La fragilizzazione della condizione economica dei pensionati non solo rischia di mettere in crisi il “silver welfare” a supporto di figli e nipoti, ma alimenta anche la loro paura verso alcuni rischi sociali. Il 35,2% dei pensionati si sente poco coperto in caso di malattia e della necessità di ricorrere a prestazioni sanitarie, il 45,4% in caso di non autosufficienza. Più di 16 milioni di pensionati attivano una spesa complessiva annua per le pensioni di oltre 312 miliardi di euro, con un importo medio di 1.500 euro circa per tredici mensilità. Ma esistono differenze significative nei redditi pensionistici che rendono alcune tipologie di pensionati più esposte ai rischi di questo momento. Al Sud le pensioni medie sono di circa il 20% inferiori a quelle del Nord e quelle delle donne sono inferiori di circa il 28% rispetto a quelle degli uomini» (Fonte: 56esimo Rapporto Censis ).

Significativa la presa di posizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, nella audizione del 5 dicembre scorso, sulla modifica della indicizzazione delle pensioni per il quale: «Il secondo gruppo di considerazioni ha carattere più generale e riguarda le conseguenze di cambiamenti, ripetuti nel tempo e con carattere subitaneo, nelle modalità di indicizzazione delle pensioni. Rispetto alle persone in età attiva, i pensionati hanno possibilità molto più ridotte di adottare scelte di immunizzazione o di recupero della dinamica inflattiva e, pertanto, il mantenimento del potere di acquisto dei loro redditi è affidato quasi esclusivamente allo schema di indicizzazione. Ne porta conferma il fatto che la capacità di difendere la pensione dall’inflazione è uno dei vantaggi comparati fondamentali di un sistema pubblico a ripartizione rispetto a uno basato su contratti assicurativi privati: nel primo caso, la migliore capacità dei redditi degli attivi di tenere il passo dell’inflazione va anche a vantaggio dei pensionati, le cui pensioni sono pagate con i contributi raccolti da quei redditi; nel secondo caso, una costante copertura dall’inflazione su archi temporali lunghi, come quelli pensionistici, risulta, a oggi, molto costosa da acquistare sul mercato o generalmente di proporzioni non sufficienti. A queste considerazioni valide per tutti i redditi da pensione se ne affiancano altre riguardanti nello specifico le pensioni basate su regole di calcolo attuariali, come quelle contributive ad accumulazione nazionale introdotte in Italia con la riforma del 1995 (la “Dini”). Se è vero che, sino a una quindicina di anni fa, la quasi totalità delle pensioni in essere era calcolata per intero con le relativamente generose regole retributive e questo poteva indurre a considerare il rallentamento o il congelamento pro-tempore dell’indicizzazione come una sorta di correttivo ex post, adesso questa condizione non è più vera. Dal 2011 le pensioni retributive di nuova decorrenza contengono almeno una quota calcolata con le regole contributive. Inoltre, hanno già cominciato a decorrere pensioni miste calcolate con le regole contributive per gli anni di anzianità successivi al 1995 e, sia pure con entità marginale, tra le nuove decorrenti sono già presenti pensioni contributive (per esempio da lavoro in para-subordinazione avviato in età avanzata o da ripresa di lavoro dopo il pensionamento, ecc.). Per le quote di pensioni calcolate con le regole contributive (che nei prossimi anni cresceranno fisiologicamente), il rallentamento o il congelamento, anche pro-tempore, dell’indicizzazione ha la natura sostanziale di un’imposta, perché va a intaccare la corrispettività attuariale tra contributi versati nel corso della carriera e valore atteso della rendita pensionistica. Infatti, all’interno delle regole contributive ad accumulazione nozionale, il montante contributivo è trasformato in rendita su basi reali, adottando un tasso di rendimento reale del’1,5 per cento ipotizzato costante durante tutta la vita attesa post pensionamento. Se viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per anno, viene indebolita anche la neutralità attuariale (un caposaldo della riforma pensionistica del 1995) e il pensionato riceve, come rendita, meno di quanto gli spetterebbe. Correttivo sommario e anche fonte di discriminazioni perché, ad esempio, anche quando di importo elevato, le pensioni retributive, se supportate da storie contributive sufficientemente lunghe, non sono da ritenersi generose o sproporzionate rispetto allo sforzo contributivo. Queste ultime osservazioni portano a sottolineare la criticità di modifiche frequenti all’indicizzazione con la finalità di recuperare risorse a copertura di altri interventi, interni o esterni al sistema pensionistico. Le regole di indicizzazione dovrebbero auspicabilmente costituire un tassello il più possibile stabile del sistema, parte di quel nuovo assetto strutturale delle pensioni la cui definizione, non a caso, è rimandata nel tempo e supplita con interventi a corto raggio ma costosi per le finanze pubbliche come Q100, Q102 e adesso Q103».

Parafrasando il Censis, l’avvocatura italiana vive in una sorta di latenza di risposta, in attesa che i segnali dei suoi sensori economici e sociali siano tradotti in uno schema di adattamento, funzionamento, mappatura della realtà e dei bisogni. Le riforme e il riposizionamento dei sistemi istituzionali, il rinforzo degli apparati pubblici e delle regole per il loro funzionamento, la riduzione delle iniquità territoriali e sociali faticano a declinare effetti concreti. L’avvocatura per lo stratificarsi di crisi e difficoltà, regredisce. Riceve e produce stimoli a mettersi sotto sforzo, a confrontarsi con le ferite della storia, ma non manifesta una sostanziale reazione, vive in una sorta di latenza di risposta. Anch’io sono stanco di “metterci la faccia” per essere mal sopportato dai più. Come ho letto su FB “nel superenalotto c’è la fortuna, nella spoliazione legale il saccheggio è scientifico”.

Recentemente ho presenziato al Convegno organizzato dalla Accademia degli Agiati di Rovereto, nata nel 1750 e che vede alla presidenza, come prima donna, la prof. Patricia Salomoni, dal titolo “L’equità degli antichi di fronte alle differenze”, una affascinante conversazione tenuta dal prof. Dario Mantovani del College de France e ho compreso appieno la differenza che corre tra l’avvocato e il giurista in una antropologia politica che ne amplia e precisa i significati («L’a.p. è lo studio comparato delle modalità con le quali le diverse culture politiche hanno affrontato e risolto i problemi dell’acquisizione, concentrazione e diffusione del potere politico, della creazione e del mantenimento dell’ordine politico, del controllo e del dispiegamento del conflitto», Fonte Treccani).

«Di fronte a un problema concreto, i giuristi romani trovano nell’aequum un criterio sufficientemente preciso di risoluzione del conflitto di interessi» come scrive il prof. Dario Mantovani in L’aequitas romana: una nozione in cerca di equilibrio. Oggi, anche con il sopravvento della intelligenza artificiale, rischiamo di perderlo come ha acutamente osservato, intervenendo al convegno, il mio amico avv. Paolo Mirandola di Rovereto. Invoco l’aequum anche in previdenza.

tabella

Tratto da Diritto e Giustizia

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