Il giudizio di ottemperanza quando l’Amministrazione non esegue una sentenza
Accade all’Agenzia delle entrate.
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Un ricordo e qualche considerazione prima di svolgere alcune riflessioni in tema di “ottemperanza” prendendo lo spunto da una recente pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
Ed ecco il ricordo che si perde nel tempo. Alla vigilia della loro istituzione, dei Tribunali Amministrativi Regionali volle parlare, in una affollata conferenza nella sede della Provincia di Roma, Roberto Lucifredi, amministrativista insigne, già Sottosegretario alla Presidenza del consiglio, con delega alla Riforma burocratica, poi Ministro per la Riforma della Pubblica Amministrazione, nel Governo Leone. Questo era il livello dei personaggi che si occupavano del pubblico impiego a quei tempi. Ebbene, il Prof. Lucifredi, prima di spiegare le ragioni della istituzione dei nuovi giudici amministrativi, che avrebbero gestito il primo grado, riferì di aver studiato a fondo alcuni ordinamenti esteri. E ci disse dell’ordinamento del Regno di Svezia dove aveva appreso che in quel paese, solamente di recente, si era sentito il bisogno di creare un giudice ad hoc. Perché, gli aveva detto il competente Ministro svedese, fino ad allora non era emersa la necessità di un giudice amministrativo in quanto se il cittadino si rivolgeva alla PA per segnalare che un provvedimento aveva leso un suo diritto, l’Amministrazione esaminava rapidamente l’istanza e se riteneva che la doglianza fosse giusta provvedeva immediatamente. Fu sufficiente a generare un brusio di ammirazione e di invidia tra i presenti. Sennonché più di recente l’Amministrazione svedese era diventata più lenta nel provvedere sulle istanze dei cittadini per cui il Parlamento aveva deciso di istituire i tribunali amministrativi.
Mi è tornato in mente questo episodio perché la nostra amministrazione, in particolare in alcuni settori, non solo troppo spesso non dà ragione al cittadino che chiede la revisione di un provvedimento ma non provvede neppure ad eseguire le sentenze costringendo chi ha avuto ragione a ricorrere ad un nuovo giudizio “di ottemperanza” ai sensi dell’art. 112 del Codice del Processo Amministrativo, per costringere l’amministrazione a dare attuazione alle pronunce del giudice. Ciò che comporta anche la condanna alle spese, una tipica fattispecie di danno erariale, in quanto l’Amministrazione è costretta a pagare una somma che, se avesse adempiuto nei termini, non avrebbe dovuto sostenere. Ed è evidente che di fronte ad una pronuncia del giudice rimasta inattuata c’è colpa grave di qualche funzionario maldestro che non se la può cavare invocando il “timore della firma”. C’è ignoranza, incapacità professionale, altro che timore!
Accade spesso purtroppo. Come nella vicenda che ha riguardato la sentenza n. 03709/2025 del T.A.R. Lazio (Sezione Seconda Ter) che ha deciso su ricorso di un candidato risultato idoneo in un concorso a dirigente di seconda fascia dell’Agenzia delle entrate che aveva ottenuto ragione dal medesimo TAR Roma, sez. II ter (n. 2559/2024), per cui l’interessato aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento (prot. n. 14722 del 22 gennaio 2025, e dei relativi allegati A e B) con cui il Direttore dell’Agenzia aveva disposto la rettifica della graduatoria finale di merito procedendo alla nomina dei vincitori della medesima procedura concorsuale. Il Ricorrente era stato collocato in una posizione diversa e deteriore rispetto a quella a lui spettante in ragione della mancata valutazione di incarichi di servizio. Una situazione non sanata neppure dalla sopravvenuta nomina – si legge nella sentenza – “in quanto la collocazione del ricorrente nella graduatoria dei vincitori non soddisfa appieno l’interesse del medesimo, sotteso alla domanda di esecuzione del giudicato che tende all’attribuzione al ricorrente del maggiore punteggio da lui ritenuto corretto in base ai titoli posseduti, e non soltanto alla sua collocazione tra i vincitori”. Con conseguente rigetto da parte del giudice della eccezione di improcedibilità del ricorso per carenza d’interesse ritenuto in sentenza sussistente.
Insomma, un pasticcio. “L’Agenzia delle Entrate – si legge nella sentenza – dovrà effettuare, entro giorni dieci dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, la valutazione di tutti i titoli declinati dal ricorrente in sede di domanda… operando le eventuali conseguenti modifiche della graduatoria”.
Naturalmente “le spese seguono la soccombenza” con condanna dell’Agenzia delle Entrate “al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che forfetariamente liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento\00) oltre IVA, CPA, contributo unificato”.
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