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DL Aiuti e caro bollette: il Parlamento litiga mentre il Paese è in ginocchio

All'incertezza UE sulle misure comuni di contrasto alla crisi del gas fa eco la stasi politica italiana, incollata ai sondaggi mentre le imprese chiudono.

DL Aiuti e caro bollette: il Parlamento litiga mentre il Paese è in ginocchio

Il Consiglio dei Ministri ha approvato la Relazione al Parlamento sull’aggiustamento di bilancio, che prevede 6,2 miliardi di maggiori entrate destinate al futuro Decreto Aiuti ter. Soldi appena sufficienti al rinnovo dei crediti d’imposta per la fornitura di energia da parte delle imprese ad alto consumo di energia e gas.

In realtà, nei piano del Governo Draghi il provvedimento puntava a raddoppiare tali risorse, raggiungendo una dote di almeno 12-13 miliardi, ma le agitazioni parlamentari stanno rendendo questo obiettivo una corsa a ostacoli. A Palazzo Madama, infatti, è ancora polemica sul sul Decreto Aiuti bis, con il rischio di non centrare i tempi massimi di approvazione e di perdere le risorse.

Il decreto, gravato di 400 emendamenti, deve essere convertito in legge entro l’8 ottobre. Ma le Politiche sono dietro l’angolo, con la prima riunione delle nuove Camere fissata per il 13 ottobre. E, considerando che il Parlamento dovrebbe essere approvato anche il DL Aiuti ter, le prossime sedute (martedì 12 e giovedì 15 settembre) saranno decisive per portare a casa i prossimi aiuti per imprese e famiglie. Se tutto andrà come deve andare, la prossima settimana servirà quindi per convertire in legge il DL Aiuti bis, rimandando a sabato 17 settembre il Consiglio dei Ministri che dovrebbe varare il nuovo Decreto Energia.

L’obiettivo del Governo uscente è dunque quello di riuscire a chiudere la partita prima delle elezioni del 25 settembre, per evitare ritardi che, in questo momento, sarebbero inaccettabili per il Paese. Sperando che i partiti mostrino responsabilità e non si lascino distrarre dalla campagna elettorale. Tanto più che, deludere il Paese subito in nome di promesse domani, potrebbe anche essere un autogol politico a pochi giorni dal voto. Di fatto, come denunciano tutte le associazioni d’impresa, il mondo produttivo è “alla canna del gas”. In tutti i sensi. Da un lato i rincari dell’energia per le Pmi saliti del 300%, dall’altro il braccio di ferro europeo per imporre un tetto al prezzo del gas ai fornitori, che la fanno da padrone sulle spalle di intere economie nazionali, compresa quella italiana.

Una tempesta perfetta innescata da una guerra tanto assurda quanto inaspettata ad accendere la miccia corta lasciata incustodita per troppo tempo: quella inflazionistica, ampiamente prevista come effetto rebound del post-Covid ma non gestita con le dovute accortezze dalle banche centrali, le cui misure di contrasto (vedi il continuo rialzo dei tassi d’interesse da parte della BCE) finiscono soltanto a far tornare i conti ma non considerano le enormi conseguenze a livello economico sul credito ed i consumi.

Dopo il lockdown Covid chi avrebbe detto che ci sarebbe toccato assistere al rischio di lockdown produttivo?

In Italia le aziende guardano allora con speranza ai partiti, che tuttavia preferiscono primeggiare nei sondaggi piuttosto che collaborare per aiutare subito il Paese mettendosi d’accordo. In Europa il “ricatto Putin” contro le sanzioni divide i coraggiosi dai timorosi, rendendoci tutti schiavi delle quotazioni al Ttf di Asterdam del gas, capace di bruciare miliardi e far chiudere saracinesche.

Dopo l’annuncio imminente della decisione sul price cap, lo stralcio della discussione su questo tema fondamentale dall’agenda dell’Eurogruppo del 9 settembre davvero sembra giocare a favore del “ricatto russo”, che tuttavia coinvolge anche i cosiddetti fornitori alternativi.

Il coltello dalla parte del manico sembrano averlo loro ma in realtà le misure politiche in atto per arginare tale potere non mancano: lo dimostrano i piani nazionali (come quello del Ministro Cingolani), volti a ridurre drasticamente la dipendenza dal gas russo (e non solo). Ci vuole fiducia. Ci vuole coraggio. L’unione fa la forza (e non è solo un modo di dire se pensiamo all’Unione Europea).

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