Anno: XXVI - Numero 249    
Martedì 30 Dicembre 2025 ore 13:30
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Una Regione può fare una sua legge sul fine vita.

La legge toscana sul fine vita promossa a metà: per la Consulta è in parte costituzionale.

Una Regione può fare una sua legge sul fine vita.

Il giudice ammette che una regione, se rimane nei confini di ciò che ha deciso la Corte, può intervenire. Dichiarati incostituzionali alcuni articoli, uno di questi riguarda il supporto da parte del servizio sanitario a chi sceglie il fine vita. Il governo, che aveva fatto ricorso, non può cantare vittoria.

A patto che non violi le competenze dello Stato, né i paletti della Consulta. È questo il succo della sentenza della Corte costituzionale sulla legge toscana sul fine vita. La legge, la prima in Italia approvata da una Regiione, non viene considerata incostituzionale nel suo complesso. Il testo però è stato promosso solo a metà dalla Corte costituzionale. Che, in una lunga e articolata decisione, ne ha dichiarato costituzionalmente legittimi i principi generali, ma incostituzionali alcuni articoli non trascurabili. Il governo invece riteneva che quella norma fosse interamente incostituzionale, perché, era la tesi, solo lo Stato può intervenire sulla materia. Lo Stato però non è ancora intervenuto, nonostante da sei anni la Consulta gli chieda di farlo.

Il diritto alla Salute e i suoi corollari sono di competenza concorrente. Lo Stato, cioè, disciplina i principi generali, la Regione può occuparsi dei dettagli. Nel ricorso del governo si sosteneva che siccome la legge statale ancora non c’è, non poteva esserci neanche quella regionale. Ma la Corte ha stabilito che così non è: “I principi fondamentali della materia relativi alla disciplina delle procedure di accesso al suicidio medicalmente assistito si possono desumere dalla legislazione statale vigente, letta alla luce delle sentenze di questa Corte”, si legge nella sentenza. Il riferimento è alle numerose decisioni della Consulta in materia: dalla sentenza sul caso di dj Fabo in poi infatti la Corte ha stabilito il perimetro entro il quale il suicidio assistito è possibili anche in Italia. Anche in assenza di legge del Parlamento. Nello specifico i requisiti sono quattro: la persona che chiede il fine vita deve essere affetta da una patologia grave, irreversibile e con prognosi infausta, deve essere capace di intendere e di volere, vivere sofferenza che considera insopportabili e essere attaccata a dispositivi di sostegno vitale. Quei requisiti, però, non possono essere stabiliti, né modificati dalla Regione. Ed è per questo motivo che l’articolo 2 della legge toscana – che individuava i requisiti, pur rinviando alla sentenza – è stato dichiarato incostituzionale. Promosso, però, il resto. “La legge regionale impugnata – argomenta la corte – non modifica in alcun modo i quattro requisiti sostanziali, affidandone la verifica allo stesso Servizio sanitario regionale, al quale è altresì conferito il compito di stabilire le modalità di esecuzione del suicidio assistito, previa acquisizione del parere del comitato sugli aspetti etici (comitato che, come si dirà più innanzi, svolge in Toscana le funzioni dei comitati etici nella generalità del territorio nazionale): in conformità, dunque, anche ai due requisiti procedimentali individuati dalla sentenza n. 242 del 2019”.

Per approvando l’impianto della Toscana, la Corte costituzionale chiede piccole modifiche: in particolare, è incostituzionale la parte della legge che prevede che la richiesta di fine vita possa arrivare anche da una persona delegata dal diretto interessato. Incostituzionale anche un articolo, considerato molto importante dai promotori, che riguarda le procedure e l’assistenza: “È stato dichiarato incostituzionale anche l’articolo 7, comma 1, che, disciplinando il supporto al suicidio medicalmente assistito, impegna le aziende unità sanitarie locali ad assicurare il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco autorizzato. La Corte ha ritenuto che la disposizione regionale viola la competenza concorrente in materia di tutela della salute, in quanto «non si pone come attuazione nel dettaglio di preesistenti principi fondamentali rinvenibili nella legislazione statale, ma come una illegittima “determinazione” degli stessi da parte della legislazione regionale”. Questo punto è importante per il governo, perché nella legge a cui sta lavorando non è previsto per la sanità pubblica l’obbigo di assistere chi sceglie il fine vita.

La decisione della Corte stabilisce, di fatto, che le regioni possono legiferare su una materia delicata come il fine vita. A patto che non si discostino dai criteri stabiliti dalla Corte stessa. Dopo questa sentenza viene rimosso l’ultimo ostacolo che il Parlamento si era dato per il via libera a una legge statale sul fine vita. “Attendiamo la decisione sulla Toscana”, dicevano dal centrodestra, parlando del testo depositato in Senato, di recente benedetto anche dai vertici della Chiesa. Ora che la decisione è arrivata, a gennaio non si saranno più scuse a bloccare l’iter della legge. Una legge che il Paese attende da anni. E che potrebbe arrivare proprio mentre al governo ci sono esponenti di due partiti – Lega, in parte, e Fratelli d’Italia – che si sono sempre detti contrari a una norma sul fine vita. Considerato, da colonnelli meloniani, uno “sdoganamento del diritto alla morte”.

Di Federica Olivo su Huffpost

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