Anno: XXV - Numero 86    
Venerdì 17 Maggio 2024 ore 13:00
Resta aggiornato:

Home » Ritardare il pagamento del Tfs è incostituzionale

Ritardare il pagamento del Tfs è incostituzionale

Pressante invito al legislatore a rimuoverlo gradualmente

Ritardare il pagamento del Tfs è incostituzionale

Il differimento della corresponsione dei trattamenti di fine servizio (T.f.s.) spettanti ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione. Si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana. Spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria. Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n.130 (redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio), con cui sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.L. N. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni. Le questioni erano state sollevate dal Tribunale amministrativo per il Lazio, sezione terza quater, in riferimento all’art. 36 cost.

Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame. la Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Comunque, conclude la Consulta, tale normativa – che era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici – in quanto combinata con il differimento della prestazione, finisce per aggravare il rilevato vulnus.

La sentenza della Corte, potrebbe pesare secondo stime dello stesso istituto di previdenza, con potenziali riflessi sui conti pubblici, fino a 14 miliardi di euro di spesa aggiuntiva nel 2023. Tanto Al momento, infatti, con l’obiettivo di non gravare eccessivamente la cassa dell’istituto previdenziale è in vigore il differimento di un anno per il pagamento del Tfs per le pensioni di vecchiaia e due per quelle anticipate. In alcuni casi, per particolari forme di anticipo come quota 100, si arriva anche a sette anni.

Tuttavia la sentenza, con la parola «graduale», offre uno spiraglio per evitare pesi eccessivi sulle casse statali: «Spetta al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria». Insomma, superamento sì, ma con la licenza di guardare anche alla sostenibilità.

Di certo c’è che ad attendere questa sentenza c’era una platea di milioni di dipendenti pubblici. Ma che cosa è il Tfs? A differenza dei privati, che hanno il solo Tfr, i dipendenti pubblici hanno anche un trattamento di fine servizio (appunto, il Tfs) che ha delle varianti in base all’amministrazione in cui si è prestato servizio. Fatte salve le tante eccezioni che si possono trovare nei meandri del pubblico impiego, il Tfs interessa tutti i dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000. A chi è stato assunto dopo, invece, viene riconosciuto il solo Tfr.

Questa somma, dunque, è soggetta non solo al differimento ma anche a rateazione: il pagamento avviene in unica soluzione fino a un ammontare complessivo lordo di 50mila euro, in due rate annuali tra 50 e 100mila euro e in tre rate annuali oltre i 100mila. Anche questo meccanismo è stato contestato dai giudici in quanto la sua presenza in accoppiata con il differimento contribuisce ad «aggravare il rilevato vulnus».

Ora, quindi, il governo dovrà mettere mano alla normativa, con una «discrezionalità» non «temporalmente illimitata». Anche perché non sarebbe «tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa» tenuto conto che la Corte «aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame».

Esultano per la notizia i sindacati: «La Cisl accoglie con soddisfazione la sentenza della Corte Costituzionale», ha commentato il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, «la Corte invita il Parlamento a rimuovere gradualmente il vincolo dando così risposta alle migliaia di lavoratori e lavoratrici che da anni aspettano la liquidazione del proprio trattamento di fine servizio».

 

© Riproduzione riservata

Iscriviti alla newsletter!Ricevi gli aggiornamenti settimanali delle notizie più importanti tra cui: articoli, video, eventi, corsi di formazione e libri inerenti la tua professione.

ISCRIVITI

Altre Notizie della sezione

Archivio sezione

Commenti


×

Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.