Sovranisti con i migranti degli altri.
L'ideona americana di deportare gli irregolari in Libia inquieta Roma. Ma un giudice blocca tutto.
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Non più soltanto fuori dagli Stati Uniti, ma proprio fuori dal continente americano. L’amministrazione di Donald Trump starebbe valutando di mandare i migranti irregolari in Libia. Nel Paese, cioè, dal quale quest’anno sono partiti quasi il 90% dei migranti irregolari che sono sbarcati in Italia e con il quale, da tempo, Roma collabora – con vari strumenti – per frenare le partenze via mare. Il progetto di Trump, dunque, non è una buona notizia per il governo italiano.Se il progetto avesse un seguito, Roma si troverebbe infatti di fronte a una sorta di fuoco amico che arriverebbe, peraltro, proprio in un momento in cui il suo impegno nel contrastare l’immigrazione irregolare è massimo. E i recentissimi accordi con il Bangladesh e il Pakistan ne sono solo l’ultima dimostrazione.
Ma la deportazione americana in Libia è solo un’idea, che potrebbe creare più di qualche tensione tra i Paesi del Mediterraneo e Trump, o qualcosa di più concreto? Per quanto il presidente Usa sostenga di non essere a conoscenza della situazione, secondo la stampa statunitense, che cita più fonti informate, i viaggi dei migranti sarebbero partiti di qui a pochi giorni. Se non fosse che un giudice federale ha bloccato tutto. La toga ha, infatti, spiegato che non è possibile espellere immigrati verso Libia, Arabia Saudita o altri Paesi di cui non sono cittadini, senza un regolare procedimento. Se il governo agisse diversamente, violerebbe la normativa a tutela di chi è a rischio di persecuzione o morte nei Paesi di destinazione. Il giudice distrettuale Brian E. Murphy di Boston ha ribadito che il dipartimento della Sicurezza interna non può deportare migranti verso deportazioni verso Paesi terzi senza offrire loro la possibilità di contestare il provvedimento e chiedere protezione in Usa.
Poiché i migranti che avrebbero dovuto subire questo trattamento sono in particolare del Laos, del Vietnam e delle Filippine, sono fioccate proteste pure dai diretti interessati. Il presidente del Senato filippino, Francis Escudero, ha definito la proposta statunitense “un atto crudele” e “inumano”. “I filippini non sono cammelli da abbandonare nel deserto della Libia, ma esseri umani che meritano pieno rispetto dei loro diritti”, ha dichiarato.
Anche le autorità libiche si oppongono al piano. Lasciando intuire che non c’è stato un accordo formale tra Libia e Usa. Almeno, non con il governo ufficiale di Tripoli. La Libia “rifiuta di essere una destinazione per la deportazione dei migranti sotto qualsiasi pretesto”, ha dichiarato il primo ministro del Governo di unità nazionale (Gun) con sede a Tripoli, Abdulhamid Dabaiba, in un messaggio pubblicato sul proprio profilo ufficiale Facebook. Il capo dell’esecutivo ha aggiunto che “qualsiasi intesa negoziata da entità illegittime non rappresenta lo Stato libico, né ci impegna politicamente o moralmente”, ribadendo che “la dignità umana e la sovranità nazionale non sono una merce da barattare”. Parole, queste, che ricordano quanto la Libia sia un Paese diviso e in mano a milizie in lotta tra loro.
L’opzione libica si aggiunge a quella, già sperimentata, del Salvador. Sono già centinaia i migranti, venezuelani soprattutto, che sono stati deportati e rinchiusi nelle prigioni del Paese del centro America. Che, peraltro, dall’8 aprile è considerato, all’improvviso, dagli Stati Uniti un Paese dove è sicuro viaggiare. Allo Stato dove per reprimere la criminalità sono stati sostanzialmente sospesi i diritti umani, gli Usa assegnano il livello 1 di sicurezza, raccomandando ai viaggiatori di esercitare solo le “normali precauzioni”. Per avere un’idea di quanto sia singolare la decisione, basti pensare che El Salvador viene considerato più sicuro della Francia e dell’Italia, poste entrambe al livello due.
La Libia, però, così come non è considerata sicura dell’Italia è nella black list anche negli Usa. Posta al livello 4, con l’alert: do not travel, non viaggiare. Sembra difficile, dunque, che un qualsiasi giudice possa dare il via libera al piano di Trump. A ciò si aggiunge che le condizioni in cui versano i migranti nel Paese nordafricano sono ormai note. Sono numerosi gli atti delle organizzazioni internazionali che fanno considerano dei veri e propri lager i campi dove sono detenuti i migranti che dall’Africa vorrebbero arrivare in Europa. La vicenda di Osama Almasri – capo del carcere di Mitiga accusato dalla Corte penale internazionale di violenze indicibili contro i migranti e arrestato ma subito dopo rilasciato dall’Italia – ha riportato alla ribalta le sofferenze subite dai migranti subsahariani detenuti in Libia. Sofferenze che, però, l’amministrazione Usa sembra non voler tenere in conto.
di Federica Olivo su HuffPost
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