La “stanza per l’ascolto” di Torino deve chiudere
Il Tar del Piemonte ha accolto un ricorso contro lo sportello gestito da un'associazione antiabortista all'ospedale pubblico Sant'Anna.
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Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha stabilito che la cosiddetta “stanza per l’ascolto” dell’ospedale pubblico Sant’Anna di Torino deve chiudere. Lo sportello intercetta le donne che vogliono interrompere una gravidanza ed è gestito da un’associazione antiabortista: la federazione regionale del Movimento per la vita, di ispirazione cattolica e vicina alla destra.
Lo sportello esiste dallo scorso settembre e la sua apertura era stata fortemente contestata dai movimenti femministi e da altre organizzazioni fin dalla firma della convenzione che l’aveva permessa. La convenzione era stata firmata dal Movimento per la vita e dall’Azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e molto voluta, nonché finanziata, dalla Regione Piemonte, attualmente guidata da una giunta di centrodestra.
Il Tar ha definito «illegittima» la convenzione perché lo statuto del Movimento per la vita prevede il contrasto a una legge dello stato – la 194 del 1978, quella che consente l’aborto – perché le competenze dei gestori della stanza non sono state verificate dall’azienda sanitaria e quella dei volontari coinvolti è stata garantita solo dal presidente dell’associazione antiabortista. Il ricorso al tribunale regionale era stato presentato dalla Cgil di Torino e dall’associazione femminista “Se non ora quando? Torino”.
Il Movimento per la vita (Mpv) venne fondato poco dopo l’approvazione della legge 194 e inizialmente si strutturò intorno all’organizzazione di due referendum per abrogarla: uno invocava la cancellazione dell’intera legge, ma venne scartato dalla Corte Costituzionale; l’altro proponeva di riconoscere solo l’aborto terapeutico, eliminando gli articoli che invece tutelavano il diritto della donna di decidere. Nel 1981 questo secondo referendum venne respinto con il 68 per cento dei voti.
Fallita la strada del referendum, l’Mpv reagì cominciando a organizzarsi a livello locale e a lavorare su due principali fronti: costruendo degli obiettivi politici a partire dalla cosiddetta «cultura per la vita» e cercando di «salvare quante più vite possibili». Cercando cioè di scoraggiare le donne ad abortire attraverso i “Centri di aiuto alla vita” (CAV) e i progetti a essi collegati a cui, di fatto, la stessa legge 194 dà spazio di azione. I Cav sono presenti in tutt’Italia, anche in moltissimi ospedali pubblici: sono almeno quanti i punti dove è possibile praticare un’interruzione di gravidanza, e sono finanziati soprattutto dalle amministrazioni di destra e centrodestra.
Il fondatore del Movimento per la vita, e poi suo storico presidente dal 1990 al 2015, fu Carlo Casini, a lungo deputato della Democrazia Cristiana e in seguito eletto al Parlamento Europeo per cinque legislature con l’Udc.
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