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Incassare la pensione di un morto non è reato

Comunicare all'Inps il decesso di un congiunto a cui è erogata la pensione non è responsabilità neppure dell'eventuale cointastatario del conto corrente su cui questa viene accreditata.

Incassare la pensione di un morto non è reato

Costui, pertanto, non può essere accusato del reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato.

Questa la rivoluzionaria sentenza pronunciata dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione di cui al momento è stata divulgata unicamente l’informazione provvisoria. Tale determinazione viene pertanto a contrastare con quanto deliberato dagli stessi Ermellini nelle sentenze 48820/2013 e 14940/2018, in cui una condotta del genere era stata ritenuta di rilevanza penale. La Corte di Cassazione, come riportato da Il Sole 24 Ore, si è trovata a dover valutare “se possa ritenersi sussistente il reato di cui all’articolo 316-ter Codice penale nel caso in cui il cointestatario del conto corrente sul quale è accreditata la pensione del proprio congiunto non ne comunichi il decesso all’istituto di previdenza e continui a percepire i ratei pensionistici”.

Diversamente da quanto deliberato nelle sentenze del 2013 e del 2018, in questa circostanza al quesito gli Ermellini hanno risposto con un diniego, “non potendo ritenersi sussistente l’omissione di informazioni dovute perché non previste. La legge 27 dicembre 2002 n. 289”, si legge ancora nell’informazione provvisoria, “ha introdotto l’obbligo per le anagrafi comunali di trasmettere online all’Inps le comunicazioni di decesso, sicché non è più necessario che i privati cittadini consegnino agli uffici Inps il certificato di morte cartaceo”. Oltre al fatto che l’onere spetti alle anagrafi comunali e non a un privato cittadino, “analogamente, l’articolo 1 legge 23 dicembre 2014 n. 190 ha sancito l’obbligo per i medici necroscopi di inviare online all’Inps il certificato di accertamento del decesso entro 48 ore dall’evento. Su queste basi l’Inps dopo la segnalazione del decesso provvede automaticamente a individuare il soggetto nei propri archivi e a effettuare le necessarie variazioni relative alla pensione”.

Essendoci quindi due livelli, ovvero quello delle anagrafi e quello dei medici necroscopi, con delle responsabilità in tal senso, queste non possono essere ascritte al cointestatario, che non ha per legge nessun obbligo a riguardo. Il reato inizialmente contestato si fondava sull’articolo 316-ter del Codice, che sanziona l’omissione di informazioni dovute qualora il presunto responsabile percepisca contributi, finanziamenti o forme di erogazione statale di qualsiasi tipo. Al di sotto dei 4mila euro di contestazione si rischia solo una sanzione amministrativa, oltre tale cifra si può invece incorrere nella reclusione da 6 mesi a 3 anni. Il fulcro della questione presa in carico dalla Cassazione, tuttavia, è che la responsabilità di un’informazione del genere non ricade sul privato cittadino ma sugli enti preposti, in primis le anagrafi dei Comuni.

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