Non solo Albanese. L'eterna ricerca della sinistra di un vate straniero
Da Bari a Padova, fino a Firenze e soprattutto Bologna.
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I comuni fanno a gara per premiare la relatrice dell’Onu, ma dopo le sue parole su Liliana Segre iniziano i dietrofront. Il caso della relatrice Onu interroga però tutta la sinistra, alla ricerca di soluzioni esterne in cambio di un “consenso effimero”. Le riflessioni di Merola, Pasquino e Zampa
Cercare soluzioni esterne a problemi interni “è una scelta scellerata, che non paga”, riflette il professore di Scienza Politica Gianfranco Pasquino. Un errore che la sinistra ha commesso in passato, cercando un papa straniero o riferimenti internazionali per rispondere ai problemi di casa propria. Una storia che si ripete, dal mito greco Alexis Tsipras al socialista spagnolo Pedro Sanchez, passando per Greta Thunberg. Da ultimo con la polemica bolognese per la cittadinanza onoraria concessa alla relatrice Onu Francesca Albanese, ora ritenuta “divisiva” da mezzo Partito democratico e blandita e premiata da tanti sindaci dem. Il problema, però, non è tanto Albanese in sé, quanto la ricerca di un surrogato “effimero” alle mancate risposte offerte dai partti: “Un segno di debolezza”. Giro di voci bolognesi.
A rompere le righe sono stati diversi riformisti dem. Da Pina Picierno, che nota “narcisismo, poca politica e molta arroganza”, a Elisabetta Gualmini, che bolla Albanese come “figura polarizzante e divisiva”. Altre interviste sono seguite. Il tappo è saltato quando la rapporteur Onu si è alzata dal salotto di La7 appena è stata nominata Segre, senatrice a vita e sopravvissuta all’Olocausto. Un gesto confermato dall’intervista di Albanese a Fanpage: “Se una persona ha una malattia, non va a farsi fare la diagnosi da un sopravvissuto a quella malattia, ma da un oncologo”, ha detto per spiegare che Segre sul massacro di Gaza, che lei chiama “genocidio” e la senatrice no, “non è imparziale e lucida”.
Un cortocircuito che ha cozzato con la cronaca stretta. Nelle ultime settimane, Albanese ha ricevuto diversi premi e onorificenze dalle amministrazioni a guida dem. Prima a Bari, ma era agosto e la polemica era ancora lontana. Poi, a Padova, dove è già partita la richiesta di togliergliela con una mozione della destra, ma guidata da un consigliere Pd. Peggio ancora a Firenze, dove il voto in consiglio su Albanese è stato solo rimandato anche se, sotto la versione ufficiale, a Palazzo Vecchio gira voce che la prima contraria a sia proprio la sindaca Sara Funaro. Sicuramente, lo è Marco Semplici, uomo di punta della sua lista Funaro, e Luca Milani del Pd fiorentino.
A incidere è anche il severo trattamento riservato a Marco Massari, sindaco di centrosinistra di Reggio Emilia, che premiandola aveva osato chiedere la liberazione degli ostaggi ed è stato redarguito da Albanese: “La pace non ha bisogno di condizioni, la perdono ma non lo dica più”. A scuotere una fetta di sinistra non sono solo gli “scivoloni” – copyright del sindaco di Bologna Matteo Lepore, che le ha concesso la cittadinanza onoraria tre giorni fa – quanto la ricerca di un “consenso immediato che poi non è tale proprio perché effimero”, riflette Sandra Zampa.
Bolognese, senatrice dem, prodiana, Zampa ha già criticato Albanese (“Figura inadeguata a identificare una città”, ha detto a Repubblica) e non vuole ritornare sul punto. Quello che serve è un discorso generale, perché è “un segno di debolezza della politica quello di cercare fuori un totem”. La sinistra ci è inciampata più volte in passato: il modello è stato prima Alexis Tsipras, leader di Syriza, ma anche il New Labour di Tony Blair. Ora il Pd schleiniano porta in palmo di mano Pedro Sanchez, socialista alla guida della Spagna. Ma non sono mancate le figure più pop, meno istituzionali. Greta Thunberg ne è un esempio. Le discussioni su Albanese si inseriscono in questo filone. Dovrebbe avvenire il contrario, spiega Zampa: “È una vecchia tendenza. La politica non dovrebbe accordarsi, ma guidare i processi e prendere posizione, anche se difficile”. Per l’ex sottosegretaria alla Salute, è meglio che “chi sta nella società apprezzi un leader, non che la politica si riduca a inseguire qualcuno perché apprezzato”.
Bologna è al centro di un vecchio guaio della sinistra: la caccia a soluzioni esterne (o internazionali) davanti alla mancanza di risposte interne. “Io non le avrei dato la cittadinanza”, ammette a Huffpost Virginio Merola, deputato dem e predecessore di Lepore a Bologna. Un po’ perché “le cittadinanze onorarie devono tenere insieme tutte le posizioni”. Ma anche perché “un partito o un’amministrazione non deve seguire il sentimento popolare, ma indirizzarlo”. Una riflessione amara, che va al di là del caso Albanese: “La sinistra sta seguendo più che guidando, cerchiamo sempre il leader e mai la leadership”, conclude Merola.
Il più duro è Gianfranco Pasquino, professore di Scienza Politica all’Università di Bologna, che al Corriere ha detto che “Lepore sbaglia, questo Pd non avrà il mio voto”. Con Huffpost va oltre le considerazioni sulla relatrice Onu: “La sinistra non riesce a trovare tematiche generali attraenti, sulle quali esprimere un punto di vista originale e quindi si aggrappa ad altre personalità meno attraenti ma capaci di portare una manciata di voti”. Una scelta “scellerata” per Pasquino, che “non funziona quasi mai”. All’iniziativa di alcuni, altri “sii adattano per conformismo, una malattia tremenda, soprattutto in un partito che deve esprimere una società molto diversificata come quella italiana”.
Il problema di fondo, ragiona Pasquino, è che manca “un dibattito libero, aperto, argomentato, istruttivo”: “Un partito non supera i problemi sommando le personalità, ma cercando di imporre idee”. Insomma, la vicenda delle cittadinanze onorarie alla relatrice Onu interroga la sinistra: “Anche nel Pci c’era del conformismo, ma c’erano anche dei produttori di idee”. Albanese o no, Pasquino registra a sinistra una “mancanza di cultura”.
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