Anno: XXVI - Numero 195    
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La pace ostaggio del Cremlino

Mosca intensifica gli attacchi e detta condizioni irrealistiche, Trump frena sui missili e lascia margine a Putin. Zelensky non cede sui territori, Pechino si propone mediatrice, ma il vertice resta lontano.

La pace ostaggio del Cremlino

Donald Trump ha scelto la strada più facile: frenare l’Ucraina, illudersi di ammansire Putin, bloccare i missili a lungo raggio per non irritare il Cremlino. Una politica che non porta alla pace, ma soltanto a congelare il conflitto alle condizioni di Mosca. Perché mentre Washington impone freni e veti, le bombe cadono senza sosta su Zaporizhzhya e Donetsk, e il pallino resta in mano a chi non ha alcuna intenzione di negoziare.

Putin non cerca compromessi, vuole la resa. Le sue pretese restano intatte: neutralità dell’Ucraina, niente Nato, territori conquistati. Zelensky ha detto no, e non potrebbe fare altrimenti. Accettare significherebbe replicare l’umiliazione di Monaco del 1938, consegnando un Paese alle grinfie di un dittatore in cambio di una pace fittizia.

Il dramma è che, in questo scenario, l’Occidente balbetta. Trump manda segnali contraddittori, l’Europa rimane in ombra, il Pentagono gioca a fare l’arbitro disarmando il proprio alleato. E la Cina, con il pretesto di un “peacekeeping” Onu, fiuta l’occasione per mettere gli stivali in Europa orientale.

Chi ci guadagna da questo stallo? Solo il Cremlino. Più passano i mesi, più la guerra diventa logorante per Kiev e sostenibile per Mosca, che ha imparato a trasformare le pause diplomatiche in avanzate militari. L’illusione che il tempo lavori per la pace è un inganno: il tempo lavora per Putin.

 

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