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Niente imposta di registro per caparre o acconti in preliminari soggetti a Iva.

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Segnaliamo due recenti sentenze emesse dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Pesaro (le prime in materia di preliminari in ambito IVA, a quanto consta), che accolgono appieno quanto sostenuto in questa rivista, nell’articolo del 6 luglio 2022 (“La tassazione di caparre confirmatorie e acconti nei trasferimenti onerosi esenti o agevolati“) al quale si rinvia.

Nel caso oggetto della sentenza n. 60/2024, una società prometteva di vendere ad altra società un immobile strumentale ex art. 10, comma 1, n. 8 ter) del D.P.R. n. 633/1972, convenendo le parti che, al definitivo atto di vendita, la venditrice non avrebbe optato per l’assoggettamento a IVA della cessione.

Dal preliminare risultava che la promissaria acquirente 1) aveva versato una somma a titolo di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. e acconto prezzo e 2) si impegnava a versare altra somma a titolo di acconto (esente da IVA) entro una certa data (antecedente alla stipula del definitivo atto di compravendita).

In sede di registrazione, il notaio versava soltanto l’imposta di registro di euro 200,00, mentre nulla versava a titolo di imposta di registro per la caparra e gli acconti, ritenendo che niente fosse dovuto perché il definitivo atto di compravendita era destinato a scontare imposta fissa (art. 40 del DPR n. 131/1986).

L’Agenzia delle Entrate recuperava l’imposta dello 0,50% per la somma versata a titolo di caparra e acconto e il 3% per la somma promessa a titolo di acconto (si noti, anche se si trattava di acconto IVA, seppur esente).

Il notaio presentava ricorso.

La sentenza n. 62/2024 esamina invece il caso di un preliminare di vendita di immobile da costruire ex D.Lgs. n. 122/2005, con vendita destinata ad essere assoggettata a IVA ex art. 10, comma 1, n. 8 bis) del D.P.R. n. 633/1972.

Da questo preliminare risultava che il promissario acquirente 1) aveva versato una somma a titolo di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c. e 2) si impegnava a versare altra somma a titolo di acconto, oltre IVA, entro una certa data (antecedente alla stipula del definitivo atto di compravendita).

In sede di registrazione, il notaio versava soltanto l’imposta di registro di euro 200,00. Anche qui non versava alcunché a titolo di imposta di registro per la caparra e gli acconti, ritenendo che niente fosse dovuto, ancora una volta perché il definitivo atto di compravendita era destinato a scontare imposta fissa (art. 40 del DPR n. 131/1986).

L’Agenzia delle Entrate recuperava l’imposta dello 0,50% per la somma versta a titolo di caparra ed euro 200 per la somma promessa a titolo di acconto, soggetto a IVA.

Il notaio impugnava anche questo avviso.

Entrambi i ricorsi sono stati accolti.

Inizia dunque a farsi strada presso i giudici tributari il principio per il quale, in caso di preliminari di compravendite (che saranno) assoggettate a IVA (seppur esenti ex art. 10 comma 1 n. 8 -ter cit.) – e, in generale, per i preliminari di atti destinati a scontare imposta di registro in misura fissa (cfr. Cass.  n. 35396/2022 e n. 35390/2022, entrambe per caparre versate in relazione a preliminari di vendita di immobili situati all’estero, e Cass. 17904/2021, per acconti versati in relazione a preliminare di cessione di quote sociali) o a non scontare affatto imposta -, la richiesta erariale di assoggettare a tassazione le somme versate a titolo caparre e/o acconti, al momento della registrazione del contratto preliminare, è priva di fondamento.

Si ricorda, comunque, che, come pure esposto nel predetto articolo, anche chi sostiene la tesi contraria conclude per il recupero dell’imposta eventualmente versata, a seguito della stipula del contratto definitivo (con istanza di rimborso, evidenziando, però, che attualmente l’Agenzia delle Entrate, consente anche il recupero, al momento della registrazione del definitivo, mediante imputazione all’imposta fissa di registro, di euro 200,00, ove dovuta). E in caso di mancata stipula del definitivo? Nel ripetuto articolo del 6 luglio 2022 si sostiene che il promissario acquirente possa richiedere il rimborso di quanto indebitamente versato.

Ormai consolidato può dirsi l’orientamento, ribadito in entrambe le sentenze, per il quale i documenti di prassi sono di per sé irrilevanti per la decisione delle controversie.

Vale, infine, evidenziare che, in entrambi i casi, i giudici hanno condannato l’Agenzia a rifondere le spese di lite.

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Redazione Federnotizie

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