Il ritorno dei riformisti e la sfida a Elly Schlein
Dietro la nascita della corrente riformista c’è la crisi d’identità del Pd: tra il movimentismo di Schlein e il richiamo al governo dei moderati, si riapre il confronto sull’anima del centrosinistra.
C’è aria di vecchio e nuovo insieme, nei Bagni Misteriosi dove è nata la corrente “moderata” del Pd. Vecchio, perché le correnti nel partito non muoiono mai: cambiano i nomi, ma restano i rituali, le geografie, le nostalgie di un centrosinistra che non si rassegna a essere solo movimento e identità. Nuovo, perché il linguaggio e i protagonisti — da Guerini a Delrio, passando per Gentiloni — riportano in superficie quella parte del Pd che, pur rimanendo silente per mesi, non ha mai condiviso fino in fondo la linea movimentista di Elly Schlein.
Non è (ancora) una scissione, ma un avvertimento. I riformisti chiedono di rimettere al centro la “crescita”, la sicurezza, la politica estera: parole quasi bandite dal lessico della nuova segreteria. In realtà, il messaggio è semplice: se il Pd smette di parlare al ceto medio produttivo e al mondo delle imprese, la destra continuerà a vincere. È la stessa diagnosi che da anni divide il campo progressista: identità o governo? Testimonianza o pragmatismo?
Schlein osserva e sceglie la prudenza. Dice di accogliere il dibattito, ma il rischio è che la discussione diventi una sommatoria di micro-leadership in cerca di visibilità. La segretaria ha ancora il consenso di un partito che, al netto delle turbolenze, non vede alternative credibili. Ma il segnale di Milano è chiaro: il tempo della luna di miele è finito.
I riformisti, più che una corrente, oggi rappresentano un promemoria. Ricordano al Pd che senza una proposta di governo — concreta, europea e di centrosinistra largo — il destino è restare minoranza rumorosa. E a Elly Schlein che, per tessere la tela dell’alleanza con Conte, dovrà prima ricucire quella, ben più fragile, della sua stessa casa.
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