Giustizia predatoria: medici comunque smpre sotto tiro
Tra avvocati pronti a fiutare ogni malasanità e sentenze milionarie che piombano sui medici in buona fede, la legge pensata per tutelare gli operatori sanitari rischia di diventare solo un bancomat per legali rapaci. Nel frattempo, i pronto soccorso italiani somigliano sempre più a zone di guerra legale.
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Nei pronto soccorso italiani, tra monitor lampeggianti e corridoi affollati, non si curano solo pazienti: si fronteggiano predatori legali. “Avvocati mortuari”, come vengono ormai chiamati dagli stessi medici, bussano alle porte dei reparti, contattano parenti in lacrime, offrono assistenza legale come se fosse un prodotto da supermercato. Volantini che reclamizzano consulenze contro la “malasanità” proliferano come pubblicità ingannevole, trasformando la sofferenza dei pazienti in un terreno fertile per speculazioni.
L’ultima sentenza di Parma, con una condanna di 359 mila euro a un ginecologo che non diagnosticò una malformazione, è solo l’episodio più eclatante di un fenomeno che si ripete ormai con inquietante regolarità. Non si discute il merito clinico della decisione: il problema è strutturale. Norme pensate per tutelare i medici in buona fede vengono interpretate o aggirate in modo da ribaltare l’onere della prova, facendo apparire colpevole chi cura con coscienza e competenza.
Ogni decisione clinica, ogni omissione reale o presunta, diventa potenzialmente un rischio legale. La medicina, già complessa e soggetta a margini inevitabili di errore, viene trasformata in un campo minato. Il risultato? Professionisti costretti a lavorare con il fiato sospeso, in attesa che una causa improvvisa metta fine alla loro carriera o ponga sotto pressione economica famiglie intere.
La legge, che dovrebbe garantire la sicurezza dei pazienti e la protezione di chi opera in buona fede, rischia di diventare solo un meccanismo per alimentare un business legale predatorio. Invece di sostenere chi salva vite, il sistema premia chi fiuta l’occasione, chi sa trasformare il dolore altrui in profitto. È un paradosso crudele: più un medico fa bene il suo lavoro, più rischia di essere citato, se qualcosa sfugge anche solo per sfortuna o imprevedibilità.
Se vogliamo difendere la sanità pubblica e i professionisti che la sostengono, occorre ristabilire una chiara distinzione tra colpa grave, dolo e semplice esito avverso. Serve una legge che protegga chi agisce in buona fede, che disinneschi il sistema predatorio senza penalizzare i pazienti, e che restituisca dignità alla professione medica. Fino ad allora, i pronto soccorso italiani resteranno trincee, non della cura, ma della paura e dell’insicurezza legale.
Perché quando la giustizia diventa un’opportunità di profitto e non uno strumento di equità, a perdere sono tutti: medici, pazienti e la stessa fiducia nel sistema sanitario.
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