Campo largo, cervello stretto
Nemmeno la santina mette d’accordo i santi laici.
Nel vasto e accidentato Campo Largo, dove ogni discussione comincia con “facciamo squadra” e finisce con “mi astengo”, è scoppiata un’altra guerra di religione laica. Il Movimento 5 Stelle ha deciso di conferire la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, relatrice Onu e rockstar dell’intifada accademica. Una mossa che doveva unire le anime progressiste sotto la bandiera dei diritti umani, e invece ha unito solo le perplessità.
Il Pd, sempre più partito dell’“aspettiamo il momento giusto” (che non arriva mai), ha preso le distanze: non dal merito, ci mancherebbe, ma dal calendario. “Non ci sono i numeri”, dicono. E quando mancano i numeri, il Pd trova sempre un modo per fare filosofia. I Verdi-Sinistra, con la loro consueta eleganza di chi tiene la candela ma non si scotta, annunciano: “Serve dialogo con le minoranze”. Traduzione: nessuno vuole votare, ma tutti vogliono sembrare moralmente superiori a chi ci prova.
I grillini, dal canto loro, fanno quello che riesce meglio: il blitz. “Votiamo subito!”, gridano, come se la cittadinanza onoraria fosse una rivoluzione. Poi, quando gli altri si tirano indietro, scoprono con stupore che la maggioranza non è un algoritmo ma un mestiere. Ma l’importante, per loro, è poter dire che “ci abbiamo provato”, meglio ancora se in diretta social.
Nel frattempo, Francesca Albanese, la protagonista involontaria, viene tirata di qua e di là come un santino in una processione laica: tutti dicono di volerla onorare, ma nessuno la vuole in calendario. È diventata la Madonna pellegrina del progressismo italiano, portata in spalla da chi cerca un titolo, non una coerenza.
Così, a Torino, la cittadinanza onoraria rischia di finire in archivio prima ancora di nascere. Non per merito della destra, ma per l’eterna capacità della sinistra di litigare anche su chi deve accendere la candela. E mentre i dem contano i voti mancanti e Avs prega per un rinvio, i 5 Stelle si allenano a perdere con convinzione.
Alla fine, il vero atto simbolico è questo: un Campo Largo che non riesce a stare d’accordo nemmeno su un gesto di cortesia. Tutti vogliono la pace, ma nessuno vuole rinunciare alla propria polemica. E così, nel nome dei diritti umani, si combatte un’altra inutile guerra tra egocentrismi.
Se l’obiettivo era onorare una relatrice Onu, missione fallita. Se era dimostrare che il progressismo italiano è un’arte performativa fatta di liturgie, distinguo e comunicati stampa, allora applausi: riuscita perfettamente.
In fondo, nel Campo Largo, l’unico vero consenso bipartisan è quello per l’autosabotaggio.
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