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L’uso politico della previdenza

La previdenza è una scienza esatta che si basa oltre che sulle leggi, Costituzione compresa, su principi matematici ed economici.

L’uso politico della previdenza

Tutti i Governi hanno sempre utilizzato la previdenza per catturare “nel breve” il consenso, solo i Governi tecnici, che non avevano bisogno di ricercare il consenso, sono intervenuti sulle regole con una visione di lungo respiro.

Si pensi, per esempio, alla riforma Fornero.

Il “breve” mal si concilia con l’andamento della previdenza, che è di lungo termine, ma questo, intanto è possibile, in quanto l’ignoranza della previdenza è un fenomeno diffuso ad ogni livello.

Si utilizzano allora il cuneo fiscale e la decontribuzione, nascondendo però l’entità del debito latente.

Il taglio del cuneo fiscale è una misura diretta a diminuire i contributi previdenziali.

La decontribuzione è una misura agevolativa che si sostanzia nell’esonero, totale o parziale, della contribuzione.

Se gli oneri relativi se li accolla lo Stato, aumenterà il debito pubblico, diversamente la decontribuzione conseguente non finanzierà le pensioni che risulteranno perciò solo ridotte.

Nessun sistema pensionistico è sostenibile con un elevato livello di decontribuzione.

La definizione di debito pensionistico implicito è quella di “valore attuale delle promesse pensionistiche future, al netto dei contributi pensionistici futuri, implicito nella legislazione corrente”. (Fonte CERP, Centro studi sulle pensioni dell’Università di Torino).

Lo studio del CERP ha evidenziato che l’Italia, con un rapporto tra debito pensionistico e PIL pari al 242%, è il Paese con il valore più elevato, mentre la Germania ha un rapporto del 118%, la Gran Bretagna del 142%, gli USA del 67%.

“La conoscenza dell’entità del debito pensionistico serve a mettere in guardia contro interventi che, pur avendo costi limitati nell’immediato, possono nel tempo far aumentare fortemente gli oneri che gravano sulle future generazioni.” (Boeri, “Perché è utile esplicitare il debito implicito” in La voce info 03.02.2017).

In un lucido intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco del 04.11.2020, si legge che: “Non è corretto sommare debito pubblico esplicito e debito pensionistico implicito. Il secondo, e cioè il debito pensionistico, si differenzia dal primo per varie ragioni:

  1. l’entità e la tempistica del suo rimborso – contrariamente a quello di un titolo pubblico – non sono certe ex ante, ma dipendono dalle scelte di pensionamento dei singoli cittadini e dalla loro longevità;
  2. il debito pensionistico pubblico non deriva da un contratto esigibile di fronte ad una coorte ordinaria: lo Stato può cambiare entro certi limiti la tempistica e l’entità del rimborso, incorrendo certamente in costi sociali e politici, ma non in costi giuridici;
  3. il cittadino – creditore non può alienare il suo credito pensionistico su un mercato secondario, derivandone, tra l’altro, che il debito pensionistico non comporta rischi di breve periodo connessi con il suo rifinanziamento.

Il punto cruciale è che il debito implicito si trasforma gradualmente in debito esplicito nel corso del tempo, nella misura in cui la spesa pensionistica concorre a determinare i disavanzi futuri.

Com’è noto, in ciascun periodo la dinamica del rapporto fra debito e PIL (d) dipende dal tasso di interesse (r), dal tasso di crescita (g) e dall’avanzo primario, che include la spesa per pensioni e le entrate contributive”.

Il prof. Alberto Brambilla nel suo “Per le pensioni non c’è riforma che tenga se continua la decontribuzione”, pubblicato sul Corriere della Sera – l’economia del 23.09.2024 sostiene che: “Gli sgravi contributivi non solo non hanno prodotto vantaggi competitivi ma hanno ritardato lo sviluppo delle otto regioni del sud esattamente come le altre assistenze “drogando” l’economia meridionale, creando solo poco occupazione di sussistenza che si è dissolta quando gli sgravi sono stati vietati perché l’occupazione la creano il ciclo economico, la domanda aggregata e un Paese che ha uno sviluppo sostenuto, non lo sconto sui contributi”.

Ora noi in Italia dobbiamo fare i conti con un debito pubblico che viaggia intorno ai 3 mila miliardi di euro e a un debito pensionistico latente che viene stimato in 8 mila miliardi di euro.

Il Governatore Visco, nel suo intervento sovra indicato, aveva anche allegato una slide che qui ripropongo calcoli al 2015:

È certamente vero che i salari italiani sono diminuiti in valore reale di circa il 6,9% rispetto al periodo pre-Covid ma i salari li devono pagare le attività produttive e devono essere aumentati dalla contrattazione tra sindacati e datori di lavoro, e non dallo Stato.

 

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