La riforma di Cassa Forense va ripensata
L’opzione al contributivo per tutti, in pro rata, secondo le indicazioni dei Ministeri Vigilanti, a mio giudizio, non sarà comunque in grado di coniugare sostenibilità del sistema e adeguatezza delle prestazioni.

Il criterio di calcolo contributivo della pensione, una volta a regime che si avrà quando la pensione sarà interamente calcolata in contributivo, dato che la legge 335/1995 non consente l’integrazione al trattamento minimo (€ 598,61 per il 2024), non sarà socialmente sostenibile per un’avvocatura che è divisa in due categorie: l’8% ricco perché si divide il 50% dell’intero PIL e il resto che si dibatte tra redditi negativi e € 35.000,00 l’anno.
La categoria ha problemi demografici e reddituali che in questi ultimi anni si sono accentuati.
A mio giudizio, bisogna recuperare un po’ il pensiero della scuola economica di Sylos Labini e cioè favorire la crescita della produttività della parte più povera della avvocatura (impegnando tramite il CNF la politica) per redistribuire la maggiore ricchezza, così da rendere il sistema sostenibile e le pensioni adeguate.
Oggi il mercato della professione legale non è in grado di garantire un’occupazione per tutta la vita e la redditività è altalenante; i mercati finanziari non sono in grado di garantire i rendimenti attesi dagli investimenti dei montanti accumulati; pesa l’ingente debito latente già maturato, che comprende le pensioni in liquidazione ma anche tutti gli “spezzoni” in maturazione.
In questo quadro, io penso che il disegno riformista debba essere ripensato aumentando la contribuzione soggettiva con progressività a scaglioni e introducendo la pensione sociale forense (€ 598,61 per il 2024) da garantire comunque a tutti.
Per fare questo servono attente proiezioni attuariali e lungimiranza nelle varie opzioni.
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