Cassa Forense e il suo futuro
La previdenza forense, sembrerà strano, ma è nata prima di Cassa Forense.
In evidenza

“La previdenza forense nasce prima dell’istituzione della Cassa Forense, ossia con la promulgazione della legge n. 406 del 13 aprile 1933, che istituiva l’Ente di Previdenza per avvocati e procuratori legali.
L’iscrizione a tale ente non solo era obbligatoria, ma avveniva d’ufficio e richiedeva per ogni anno di iscrizione che l’avvocato provvedesse ad effettuare il versamento di un contributo personale che fosse parametrato e commisurato al reddito professionale incassato nel corso dell’anno. In aggiunta a tali importi l’ente predetto incassava i contributi derivanti dall’applicazione delle marche dovute in ragione di tutti i giudizi instaurati, oltre una percentuale sugli emolumenti percepiti in conseguenza dell’acquisizione degli incarichi loro conferiti dalle autorità giudiziarie.
In conseguenza del versamento dei contributi e delle somme dovute a tali titoli l’ente previdenziale procedeva, secondo un calcolo basato su un sistema contributivo, ad effettuare erogazioni di varia durata agli iscritti e alle rispettive famiglie, qualora si fossero trovati in situazioni di necessità temporanee o permanenti in considerazione dell’invalidità in cui versasse e a prescindere dalla causa che l’aveva provocata.
Solo con l’emanazione della legge n. 6 dell’8 gennaio 1952 viene soppresso l’ente previdenziale di cui si è sin qui detto e il relativo patrimonio viene trasferito ad un ente di nuova istituzione, ossia l’attuale Cassa Forense, già Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore di avvocati e procuratori, tra i cui compiti era ricompreso anche quello di provvedere all’erogazione del trattamento pensionistico, in origine esclusivamente commisurato in relazione all’età anagrafica del soggetto richiedente e non dei contributi versati.” (Fonte: AvvocatoFlash)
Il 1933 in Italia fu un anno di rafforzamento del potere fascista con la prosecuzione di iniziative propagandistiche e la repressione delle opposizioni.
Il 24 marzo 1933 Benito Mussolini tenne un discorso elettorale, trasmesso per la prima volta via etere con la radio.
La previdenza forense nasce quindi in un contesto politico “particolare” e con una demografia per l’avvocatura italiana completamente diversa da quella attuale.
Il compianto prof. Franco Cipriani nel suo “Troppi avvocati?”, pubblicato sul Foro italiano del 1997, offre al lettore i numeri dell’epoca dell’avvocatura italiana.
Nel 1913 in Italia vi erano 21.488 avvocati e procuratori, ossia 59 legali ogni 100.000 abitanti e l’Italia aveva 35 milioni di abitanti.
Nel 1920, quando l’Italia aveva 38 milioni di abitanti, i legali italiani erano certamente più di 25.000. Non ho trovato il dato del 1933 ma credo si possa stimare intorno ai 27.000 avvocati se è vero che 45 anni dopo, cioè nel 1966, gli avvocati e i procuratori italiani iscritti negli albi erano diventati 37.800.
Nel 1987 fu superato il tetto dei 50.000, nel 1995 si arriva a 83.090 per arrivare, alla fine del 2024, a 233.260, constatando però da 4 anni un saldo negativo tra nuove iscrizioni e cancellazioni.
Questo excursus per dire che la previdenza forense è nata in un contesto politico e demografico completamente diverso da quello attuale ma con il calcolo contributivo della prestazione al quale si è ritornati solo a far data dal 01.01.2025.
L’ultima riforma del sistema previdenziale, infatti, entrata in vigore il 1° gennaio 2025, con l’opzione in pro rata temporis al sistema di calcolo contributivo (70 anni di età con 35 anni di contribuzione effettiva) entrerà a regime quindi fra 35 anni il che significa (2025 + 35) nel 2060.
Il sistema pensionistico italiano ha adottato, sia pure con una transizione particolarmente lunga, il metodo di calcolo contributivo dal 01.01.1996.
Lo stretto legame a livello individuale tra la somma dei contributi versati e quello delle prestazioni ricevute ha ricadute importanti sulla neutralità rispetto alle scelte di pensionamento a livello individuale e sulla sostenibilità finanziaria a livello aggregato, perché le variabili demografiche entrano direttamente nelle regole di computo della pensione e perché il sistema dispone di meccanismi automatici di aggiustamento che lo adeguano alle mutate condizioni della demografia e della economia.
La Ragioneria generale dello Stato da sempre sottolinea il ruolo fondamentale degli aggiustamenti automatici dell’età di pensionamento e dei requisiti contributivi all’andamento dell’aspettativa di vita onde controllare la dinamica del rapporto tra spesa pensionistica e PIL.
Dal punto di vista macro-economico l’aumento dell’età di pensionamento è lo strumento principale per attenuare il peggioramento nel rapporto tra attivi e pensionati, causato dal progressivo invecchiamento della popolazione.
Proprio in questa ottica la riforma della mia presidenza in CF, aumentò l’età pensionabile a 70 anni, prevendo in particolari condizioni l’uscita anticipata a 65 anni, che, oggi e in futuro, a mio giudizio non basta più.
A pag. 160 del libro “La nuova previdenza forense” di Marina Piovera e Michele Proietti (quest’ultimo past DG di Cassa Forense) si legge:
“Dall’analisi di questi dati emerge che il livello di pensione per gli iscritti in regime di contributivo puro appare insufficiente a mantenere il tenore di vita raggiunto durante l’attività lavorativa. Per questi iscritti (cioè gli iscritti dal 01.01.2025 in poi) si pone non solo un tema di adeguatezza della pensione ma anche di equità intergenerazionale, posto che non vengono garantire loro le stesse risorse e possibilità delle generazioni precedenti”.
Questo non lo ho scritto io ma l’avv. Michele Proietti, da poco pensionatosi in Cassa Forense.
Orbene il Comitato dei Delegati di Cassa Forense dovrebbe cominciare oggi ad occuparsi del futuro di Cassa Forense sul presupposto, come ho esordito più sopra, che la previdenza forense è venuta prima di Cassa Forense e quindi ha diritto di sopravvivere anche dopo quest’ultima!
Nei prossimi decenni la transizione demografica in corso produrrà cambiamenti rilevanti sia nella numerosità che nella struttura per età della popolazione italiana che si ripercuoteranno sulla società e l’attività economica.
Il progressivo calo della natalità da una parte e l’invecchiamento della popolazione dall’altro, peseranno sulle prospettive di crescita, così come su un sistema di protezione sociale forense concepito in condizioni demografiche molto diverse da quelle attuali.
Tra pochi anni l’avvocatura in età da lavoro si ridurrà e sarà superata da quella anziana, fuoriuscita dal mercato del lavoro.
Sono necessarie politiche che favoriscano una più ampia partecipazione al mercato del lavoro, volte ad aumentare la numerosità degli attivi e a migliorare le condizioni di occupabilità degli individui in età da lavoro.
Sarà necessario, attraverso degli incentivi, prolungare la durata dell’attività lavorativa dell’avvocatura italiana.
Questi spunti di riflessione li ho tratti dalla audizione della Presidente di UPB -Ufficio Parlamentare di Bilancio – alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto, 8 luglio 2025.
Qual è la riforma che si dovrebbe mettere allo studio sin da subito?
Gli autori del libro sopra citato suggeriscono “l’adozione di misure a sostegno dei nuovi iscritti come la destinazione al montante individuale di una quota del contributo integrativo o l’introduzione di coefficienti di equità intergenerazionale, in linea con quanto messo in atto da altre Casse professionali (Cassa Commercialisti).
Non credo siano sufficienti allo scopo.
A mio giudizio bisogna rivoluzionare il sistema vigente, prevedendo una pensione minima uguale per tutti gli avvocati, a prescindere dal reddito, incentivando poi il ricorso alla pensione modulare volontaria che già esiste nel nostro sistema.
Con i numeri attuali, intorno al 2045 a mio giudizio anche se ufficialmente si parla del 2050, il rapporto tra iscritti e pensionati in Cassa Forense sarà di 1 : 1, con la conseguenza che il saldo previdenziale, cioè la differenza fra entrate contributive meno uscite per prestazioni, sarà negativo con la necessità per Cassa Forense di utilizzare prima il rendimento del patrimonio e poi il patrimonio stesso per far fronte alle obbligazioni previdenziali già assunte.
Esaurito il patrimonio, l’attuale sistema collasserebbe.
Ecco perché da oggi bisogna pensare al futuro della previdenza forense.
Io credo nella matematica perché 1+1=2 e non 4 ma resto basito quando alla pag. 58, quarto rigo, della rivista La Previdenza Forense n.1/2025 leggo che “i crediti verso iscritti che hanno raggiunto quasi i 3 miliardi di euro…” e poi su Italia Oggi che nella risposta al questionario inviato dal Ministero del Lavoro a fronte del report della Bicamerale di controllo, si dichiarano crediti verso gli iscritti per 1,5 miliardi di euro!!
Qualche cosa non torna nei numeri o no?
Vigilantibus non dormientibus iura succurrunt!
Altre Notizie della sezione

All’Ente dei medici rinnovata la funzione di stazione appaltante
29 Settembre 2025Enpam li organizza anche per altri enti.

Casse di previdenza. Asset allocation e indicazioni della commissione bicamerale di controllo
26 Settembre 2025In questa tornata di tempo le Casse di previdenza stanno aggiornando l’asset allocation strategica e tattica per il 2026.

Arpinge, 80 milioni per il biometano in Sicilia e Basilicata
26 Settembre 2025La società è partecipata da Inarcassa, Cassa geometri e Eppi.