Il velo ipocrita sul terrorismo
Ong, politica e silenzi: chi ha chiuso gli occhi?
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Penso che dobbiamo essere tutti grati al procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo e il procuratore di Genova Nicola Piacente per aver coordinato le forze di Polizia e della Guardia di Finanza in questa brillante operazione che ha portato all’arresto di questi criminali finanziatori dei terroristi di Hamas.
La questione emersa con le indagini sui flussi di denaro diretti verso la galassia di Hamas non è, prima di tutto, una questione giudiziaria. È una questione politica, culturale e morale. Ridurla all’esito dei tribunali è comodo, ma fuorviante. Perché la politica non risponde solo dei reati che commette, ma dei contesti che crea, delle legittimazioni che concede, delle zone grigie che normalizza.
Hamas non è un incidente della storia, né una deviazione imprevista della causa palestinese. È un’organizzazione terroristica, un regime autoritario che governa Gaza con la repressione interna, l’uso sistematico della violenza e una strategia fondata sul conflitto permanente. Questo è un dato noto da anni, non una rivelazione successiva al 7 ottobre. Fingere sorpresa oggi significa ammettere o una colossale ingenuità o una colpevole rimozione.
Eppure, intorno a Hamas si è costruita nel tempo una vasta zona grigia, anche in Italia. Una zona fatta di Ong presentate come intoccabili per definizione, di attivisti trasformati in icone morali, di mediatori e “umanitari” accolti nei contesti istituzionali senza alcun serio vaglio politico. È in questo quadro che vanno lette iniziative come la Gaza Freedom Flotilla, sostenuta e promossa negli anni da una rete internazionale di attivisti e organizzazioni apertamente ostili a Israele e sistematicamente reticenti – quando non indulgenti – verso Hamas.
In Italia, la flottiglia ha trovato sostenitori espliciti in settori della sinistra politica, del mondo associativo e del movimento cosiddetto “propal”. Eurodeputati, parlamentari, amministratori locali e figure pubbliche hanno partecipato a eventi, conferenze, campagne di sostegno, spesso difendendo la flottiglia come iniziativa puramente umanitaria, nonostante i ripetuti segnali di contiguità ideologica e operativa con ambienti legati a Hamas. Tra i promotori e difensori più noti a livello internazionale figurano esponenti come Greta Berlin, Huwaida Arraf, Zaher Birawi; in ambito italiano ed europeo, il sostegno politico e simbolico è arrivato da figure riconducibili alla sinistra radicale, ai Cinque Stelle e a una parte del mondo pacifista istituzionale, incluse personalità che oggi rivestono ruoli di rilievo nel dibattito pubblico internazionale, come Francesca Albanese.
Il punto non è sostenere che tutti costoro abbiano consapevolmente finanziato il terrorismo. Il punto è un altro, ed è più serio: hanno scelto di non vedere. Hanno chiuso entrambi gli occhi davanti a un dato elementare: a Gaza nulla si muove senza il controllo di Hamas. Nessuna ONG, nessuna iniziativa, nessun flusso di beni o denaro può operare in quel territorio senza interagire, direttamente o indirettamente, con il potere di Hamas. Questo non è un dettaglio tecnico: è il presupposto politico di qualsiasi azione.
Qui entra in gioco la responsabilità politica. Le legittimazioni contano quanto i finanziamenti. Le fotografie contano. Gli inviti contano. Le difese a oltranza contano. Costruiscono reputazioni, aprono porte, normalizzano soggetti che dovrebbero essere trattati con estrema cautela. Farsi fotografare ripetutamente in contesti contigui a Hamas non è diverso, per gravità politica, dal frequentare ambienti opachi legati alla criminalità organizzata: non serve la prova del reato per parlare di colpa.
Dopo il 7 ottobre, questa narrazione è crollata. Ma invece di un esame di coscienza, è partita la rimozione: minimizzare, contestualizzare, equiparare carnefici e vittime, parlare di “resistenza” davanti a un pogrom. È qui che l’errore di analisi diventa responsabilità morale. Perché le democrazie sbagliano, anche gravemente, ma non sono moralmente equivalenti a organizzazioni terroristiche. Dissolvere questa differenza significa rinunciare a uno dei fondamenti della politica democratica.
La giustizia farà il suo corso. La presunzione di innocenza vale per tutti. Ma la politica non può rifugiarsi dietro i tribunali per evitare di interrogare se stessa. Il problema non è solo chi finirà eventualmente sotto processo. Il problema è chi, per anni, ha costruito e difeso una zona grigia che ha finito per alimentare – anche solo indirettamente – una macchina di morte.
E quando quella zona grigia verrà finalmente illuminata, non basterà dire: “non sapevamo”. Perché il vero scandalo è che non si voleva sapere.
Beppe Provenzano, uno degli uomini vicini alla segretaria Elly Schlein, risponde a muso duro condannando qualsiasi forma di terrorismo e sostenendo il lavoro degli inquirenti e delle forze dell’ordine. Ma rispedendo al mittente qualsiasi “volgare strumentalizzazione”. Una linea che segue anche Avs. Il terrorismo va sempre contrastato in ogni sua forma: lo abbiamo fatto ieri condannando Hamas e chiediamo che oggi la magistratura faccia piena chiarezza su questa vicenda. Ma la destra la smetta di fare una propaganda indecente”. È la premessa della risposta di Angelo Bonelli, deputato AVS e co-portavoce di Europa Verde. Che poi va al contrattacco: “I crimini contro l’umanità commessi dal governo Netanyahu sono sotto gli occhi di tutti: oltre 70.000 persone uccise, donne e bambini tra le vittime, ospedali bombardati, Gaza rasa al suolo”. Sulla scia nella netta condanna al terrorismo altri esponenti Dem, come Graziano Delrio e Sandra Zampa, sia pure senza alimentare la polemica politica con la maggioranza.
Ma nessuna reazione dal M5s. né dalla Albanese che fingendo che il problema non esistesse.
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