La notte della manovra e il prezzo della tenuta.
Una notte di telefonate, pressioni e retromarce sulla manovra rivela fragilità politiche che vanno oltre il singolo provvedimento: mentre la premier è all’estero, i conti tengono, ma la coesione della maggioranza mostra crepe che preoccupano.
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C’è una costante nella politica italiana che nemmeno i governi più compatti riescono a smentire: quando la manovra arriva al punto di massima tensione, le crepe diventano visibili. È accaduto anche questa volta, nel cuore della notte, mentre il governo era chiamato a chiudere i conti più delicati in commissione Bilancio e la presidente del Consiglio si trovava a Bruxelles, impegnata in uno dei passaggi europei più rilevanti degli ultimi mesi.
Il caso della stretta sulle pensioni, prima ipotizzata e poi accantonata, è emblematico. Non solo per il merito della misura, ma per il metodo con cui è stata affossata: telefonate, call notturne, pressioni politiche e una mediazione finale che ha aggirato l’impianto tecnico del Mef e della Ragioneria. La politica, ancora una volta, ha deciso di correggere la rotta della tecnica. Legittimo, certo. Ma non senza costi.
La Lega ha rivendicato una “sensibilità politica” verso un tema che tocca direttamente il proprio elettorato.
Nessuna crisi, nessuna minaccia, assicurano i protagonisti. E probabilmente è vero. Ma negare la portata dell’episodio sarebbe miope. Quando un partito di maggioranza impone un cambio di linea su una voce strutturale come le pensioni, il messaggio è chiaro: la coesione regge finché non incrocia nervi scoperti.
Il tempismo, poi, non è irrilevante. Le tensioni esplodono mentre Giorgia Meloni è all’estero, impegnata a rafforzare il profilo internazionale dell’Italia e a partecipare a decisioni europee di peso strategico, come il maxi-prestito all’Ucraina. È un copione già visto: i dossier interni che si aggrovigliano proprio quando la premier è lontana, alimentando irritazione e un senso di accerchiamento politico.
Alla fine, la “quadra” si trova. Ma resta una domanda di fondo: quante volte ancora si potrà intervenire in extremis senza intaccare la credibilità complessiva della manovra? Ogni soluzione tampone rinvia il problema, non lo risolve. E ogni deroga ottenuta per ragioni politiche aumenta la pressione sui conti futuri.
La notte della manovra si chiude senza scosse apparenti. Ma sotto la superficie, la tensione resta. Perché governare non significa solo evitare crisi, ma dimostrare che le scelte difficili possono essere condivise prima che diventino emergenze. E su questo, il banco di prova è appena cominciato.
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