Anno: XXVI - Numero 231    
Lunedì 1 Dicembre 2025 ore 13:30
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Manifestanti pro-pal fanno irruzione a La Stampa.

Assalto alla sede torinese de La Stampa: letame lanciato oltre le cancellate, muri imbrattati e irruzione nei locali.

Manifestanti pro-pal fanno irruzione a La Stampa.

La sede torinese de La Stampa è diventata teatro di un’irruzione violenta durante lo sciopero generale del 28 novembre. Un gruppo di manifestanti, riconosciuti da molti presenti come militanti filopalestinesi, si è staccato dal corteo e ha raggiunto l’edificio del quotidiano. Prima il lancio di letame oltre le cancellate e le scritte contro i giornalisti, accusati di essere “complici dell’arresto in Cpr di Mohamed Shahin”; poi l’ingresso forzato nella struttura, trovata vuota per l’adesione della redazione allo sciopero indetto dalla Fnsi. Un’azione breve ma organizzata, accompagnata da un messaggio diffuso al megafono: “Non è finita qua, la Palestina la vogliamo libera come vogliamo libero il nostro compagno e fratello Mohamed Shahin”. Il blitz è stato rivendicato dal Ksa, il “Kollettivo studentesco autonomo”, che sui social ha accusato i media di aver “dipinto Shahin come un terrorista”.

La violenza dell’episodio ha prodotto una reazione istituzionale immediata. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto pervenire al direttore Andrea Malaguti la sua solidarietà e una “ferma condanna” dell’accaduto. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato al giornale definendo l’irruzione “un fatto gravissimo” e chiedendo “una risposta unanime contro ogni intimidazione”. Messaggi duri sono arrivati anche dal presidente del Senato Ignazio La Russa e dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha parlato di atto “inaccettabile” annunciando verifiche su quanto avvenuto. Identificati intanto una trentina di partecipanti, appartenenti all’area antagonista cittadina.

Ferma anche la condanna della segretaria del Pd Elly Schlein, che ha parlato di “atto inqualificabile” dopo aver contattato Malaguti. Analoga la posizione del presidente del M5S Giuseppe Conte, che ha espresso “sincera solidarietà” di fronte a un gesto “vile e inaccettabile”.

Il contesto dello sciopero generale, che aveva svuotato le redazioni rendendole più esposte, contribuisce a chiarire la portata dell’accaduto. Il lancio di letame, le scritte denigratorie e l’ingresso nei locali non configurano solo dissenso, ma un attacco diretto a un presidio civile. In questo quadro, il riferimento alla causa palestinese appare più come cornice ideologica che giustificazione politica: la libertà di espressione non contempla violenze né incursioni nei luoghi dell’informazione.

Alla solidarietà delle massime cariche dello Stato ha fatto da contraltare il commento di Francesca Albanese.

La relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, pur condannando con fermezza l’irruzione nella redazione de La Stampa a Torino, ha sottolineato che l’episodio dovrebbe rappresentare un “monito” per il mondo dell’informazione. Secondo la relatrice speciale, la stampa è chiamata a “tornare a fare il proprio lavoro” riportando i fatti “al centro” e garantendo un’informazione accompagnata, quando possibile, da un adeguato livello di analisi e contestualizzazione.

Albanese ha inoltre rivolto una domanda diretta ai media, chiedendo perché non sia stata dedicata pari attenzione alle mobilitazioni avvenute a Genova e in decine di altre città italiane, dove, a suo dire, erano scese in piazza molte persone. Un interrogativo che, nelle sue intenzioni, invita le redazioni a riflettere sulla selezione delle notizie e sulla responsabilità nel raccontare in modo completo ciò che accade nel Paese.

L’episodio rilancia un tema di responsabilità collettiva: quella dei manifestanti che trasformano la protesta in intimidazione, e quella di chi contribuisce, nelle piazze o nelle reti, ad alzare il livello dello scontro fino a indicare la stampa come nemico. Torino è una città abituata alle mobilitazioni, ma l’assalto a un giornale segna una soglia diversa, che chiama in causa la tenuta del dibattito democratico e il rispetto di un confine che, per storia e civiltà, dovrebbe restare invalicabile.

 

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