Anno: XXVI - Numero 218    
Mercoledì 12 Novembre 2025 ore 13:35
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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE REFERENDUM AI PRIMI DI MARZO

L’Esecutivo potrebbe accelerare l’iter per evitare l’Election Day con le amministrative.

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE REFERENDUM AI PRIMI DI MARZO

Nell’attesa che tutti i comitati referendari scaldino i motori per entrare nel vivo della campagna, ci si chiede sempre con più interesse quando si terrà il voto popolare che deciderà se il nostro sistema dovrà accogliere o meno la separazione delle carriere tra giudici e Pm. Due giorni fa proprio la premier Giorgia Meloni, rivolta alla sinistra, ha detto: «Loro sanno che sono norme di buon senso e infatti che dicono? “Votate no al referendum per mandare a casa la Meloni”. Ma mettetevi l’anima in pace, la Meloni a casa ce la possono mandare solo gli italiani. Arriverà a fine legislatura e poi chiederà agli italiani di essere giudicata sul complesso di ciò che ha fatto. È una cosa alla quale la sinistra non è abituata: la democrazia».

Insomma per la presidente del Consiglio la partita è chiara: nessun legame tra il ddl costituzionale approvato dalle Camere e la stabilità dell’esecutivo. E però sempre meglio non rischiare, anzi per il Governo sarebbe un volano fortissimo quello dell’acclamazione popolare alla riforma della giustizia in vista del 2027. Tornando alle tempistiche, com’è noto il ddl costituzionale è stato pubblicato nel numero 253 della Gazzetta Ufficiale lo scorso 30 ottobre, anticipato dalla seguente dicitura: «Entro tre mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo seguente, un quinto dei membri di una Camera, o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali possono domandare che si proceda al referendum popolare».

E infatti prima la maggioranza e poi le opposizioni hanno immediatamente raccolto le firme necessarie dei parlamentari e sono andati a depositarle in Cassazione. Passo successivo: l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione con il compito di verificare la conformità della richiesta di referendum alle disposizioni dell’art. 138 della Costituzione, decide sulla legittimità della richiesta entro 30 giorni dalla sua presentazione, termine ultimo per contestare ai presentatori le eventuali irregolarità. Qui però si apre un bivio interpretativo.

Come anticipato dal Foglio qualche giorno fa, la legge di attuazione dell’art. 138 Cost., la 352 del 1970, secondo il parere di alcuni non dà indicazioni specifiche sui tre mesi, nel senso che una volta che Piazza Cavour ha decretato che la richiesta di referendum da parte dei parlamentari è valida, il Governo potrebbe direttamente avviare l’iter per richiedere la data del referendum, senza aspettare il 30 gennaio 2026.

In questo modo sarebbe possibile andare alle urne già agli inizi di marzo invece che a fine mese o inizio aprile (il referendum si svolge in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione, le operazioni di voto si estendono alla giornata del lunedì successivo).

Fonti governative fanno sapere che ancora questa opzione non è stata messa sul tavolo per una serie di valutazioni ma non è esclusa. In generale la maggioranza deve fare presto sostanzialmente per due motivi. Primo: più il voto referendario è lontano dal rinnovo del Parlamento nel 2027 meno si rischia di allontanarsi dall’ «effetto luna di miele» secondo il quale se si tiene rapidamente un referendum è probabile che lo si vinca, se lo si tiene a fine mandato, è più probabile che lo si perda. Secondo: nella primavera del 2026 saranno chiamati al voto i cittadini dei Comuni che, per la deroga dovuta al Covid, sono andati alle urne nell’autunno 2021.

Tra gli altri Roma, Milano, Bologna, Torino e Trieste. Un Election Day in cui accorpare amministrative e voto referendario sarebbe pericoloso per i sostenitori della riforma in quanto, da tradizione, nei grandi centri il centrosinistra va meglio. Questo comporterebbe, dunque, una maggiore affluenza dei “No”.

Inoltre, se veramente si creassero i presupposti per un Election Day ma la maggioranza si rifiutasse di aderirvi, le opposizioni potrebbero accusarla di sprecare i soldi degli italiani. Un danno di immagine da rifuggire per la destra. Comunque, sull’ipotesi di una accelerazione da parte del Governo, è molto critico il senatore dem Andrea Giorgis: «Dal nostro punto di vista il significato dell’articolo 138 e della sua relativa legge attuativa, la 352/ 1970, è chiaro: devono trascorrere tre mesi prima che si possa indire la data del referendum. Una diversa interpretazione e una anticipazione dei tempi sarebbe l’ennesima forzatura. Come noto, non era mai successo che una riforma costituzionale venisse approvata senza che il Parlamento potesse svolgere un qualche reale ruolo ed apportare qualche emendamento; non era mai successo che si applicasse il canguro in Commissione; non era mai successo che si andasse in Aula senza un mandato al relatore. Dopo tutte queste forzature, non mi stupirei se il Governo e la maggioranza provassero a metterne in atto un’altra. Forse temono che più i cittadini si informano su questa riforma e più siano portati a votare ‘ No’».

Di Valentina Stella Il Dubbio

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