Uno show in Parlamento. Così finirà l'indagine sui ministri per Almasri.
Al di là della gran polemica politica, per mandare a processo Nordio, Piantedosi e Mantovano serve un voto di Camera e Senato. Quel giorno Meloni ha promesso di essere presente accanto ai membri del suo governo, e la maggioranza respingerà la richiesta dei giudici. Le grane potrebbero invece arrivare in caso di indagine sul capo di gabinetto di via Arenula
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“Ma ora cosa succede?”. La domanda su quale sarà il seguito del caso Almasri circola nei corridoi del Parlamento in queste ultime ore prima della pausa estiva. L’esito giuridico, allo stato, è scontato, almeno i componenti del governo: a meno che l’esecutivo non cada nelle prossime settimane (ipotesi improbabile) nessuno andrà a processo. L’esito politico forse un po’ meno.
Ma andiamo per gradi. La notizia dell’archiviazione della premier, Giorgia Meloni, dall’accusa di favoreggiamento e peculato per aver rispedito in Libia il generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale, ha portato con sé non solo l’ira della diretta interessata, perché i giudici hanno adombrato la possibilità che lei non fosse a conoscenza dell’operato dei suoi ministri, ma anche un punto interrogativo sul destino dei ministri stessi. Stando a quanto sostenuto dalla premier, infatti, i giudici hanno chiesto l’autorizzazione a procedere per i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e per il sottosegretario Alfredo Mantovano.
Stralciata la posizione della premier, si apre una procedura che il governo vorrebbe rendere più breve e indolore possibile. Ma quando si aprirà? Non nell’immediato, questo è certo. E la certezza è data dal fatto che, come riferiscono fonti a conoscenza del dossier, in Parlamento ancora non è arrivato nulla. Una tesi, questa, confermata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che nel Transatlantico di Montecitorio ha spiegato ai cronisti: “Sono le 13.15 e non ho ancora ricevuto nulla, non ho avuto nessuna notifica” anche se “la legge prevede che vada trasmessa immediatamente”, come è realisticamente avvenuto nel caso di Meloni.
Dal momento che il tribunale dei ministri ha concluso le indagini, se vuole che i ministri vadano a processo, deve fare una richiesta – quella di autorizzazione a procedere, per l’appunto – al Parlamento. Secondo la legge, per Carlo Nordio – che è accusato anche di omissione di atti d’ufficio – Alfredo Mantovano e Matteo Piantedosi il voto dovrebbe essere espresso dalla Camera. Prima del voto in Aula, però, le carte dovranno essere esaminate dalle giunte per le autorizzazioni, che dovrà istruire la pratica e fare una prima valutazione: proporre, cioè, se concedere o no l’autorizzazione. L’ultima parola, però, spetta all’assemblea. L’esito del voto pare scontato: la maggioranza non autorizzerà mai il processo per i ministri e per il sottosegretario. La premier, quel giorno, siederà accanto a loro, come ha annunciato sui social.
L’obiettivo della maggioranza è velocizzare il più possibile la pratica, così da archiviarla, rivendicando anche la compattezza del centrodestra ed evitando che le polemiche delle opposizioni si trascinino continuando a mettere in imbarazzo il governo. Non è detto, però, che basterà: se la procura di Roma decidesse di indagare anche componenti dello staff dei ministri, per questi non ci sarà bisogno di autorizzazione a procedere. Al momento si tratta solo di un’ipotesi, ma le toghe dell’Associazione nazionale dei magistrati e il ministro Nordio si stanno scontrando su un nome: quello di Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto del titolare di via Arenula. Non è indagata e, sostiene Nordio, il suo nome non compare neanche nelle carte. Ma, date le indiscrezioni su alcune email che avrebbe scambiato con altri dirigenti del ministero sul caso, i pm potrebbero valutare di accendere un faro sulla sua posizione.
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