Casse di Previdenza: sostenibilità e adeguatezza
Sono le due facce di una stessa medaglia: se le pensioni risultano inadeguate, ci sarà una pressione perché le pensioni siano aumentate e la sostenibilità del sistema pensionistico può risultare compromessa.
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Dall’altro lato della medaglia, se un sistema pensionistico non è sostenibile a lungo termine, richiederà interventi o sull’aumento della contribuzione o sull’aumento dell’età pensionabile o riducendo, in pro rata temporis, le prestazioni nel quantum.
Ne consegue che l’adeguatezza e la sostenibilità sono aspetti che debbono essere esaminati congiuntamente.
Con la legge 214/2011, meglio detta Salva Italia, le Casse di previdenza private hanno dovuto adottare misure atte a garantirne l’equilibrio entrate/uscite per un periodo di 50 anni.
Oggi siamo di fronte a profondi cambiamenti strutturali del contesto socio – economico, quali l’inverno demografico, l’invecchiamento della popolazione, il rallentamento della crescita economica e l’instabilità del mercato del lavoro.
Il mix di questi fattori, rende problematica l’offerta di tutele previdenziali adeguate, anche perché bisogna capire che cosa s’intende per adeguatezza della prestazione previdenziale.
Si conoscono due modelli di sicurezza sociale, quello Bismarckiano, come quello italiano, e quello Beveridgiano, adottato dai sistemi anglo – scandinavi.
Per noi adeguatezza significa assicurare il mantenimento del tenore di vita acquisito durante il periodo di vita lavorativo; per gli anglo – scandinavi la pensione deve garantire un reddito minimo, sufficiente a coprire i bisogni essenziali.
L’adeguatezza della prestazione pensionistica si misura con un indicatore che si chiama “tasso di sostituzione”.
Il tasso di sostituzione può essere calcolato al lordo o al netto del prelievo fiscale, dove il tasso di sostituzione netto a me pare più corretto, perché considera il reddito effettivamente spendibile per il pensionato.
Con il passaggio dal sistema di calcolo retributivo della pensione, al sistema di calcolo contributivo della pensione, il tasso di sostituzione, mediamente, si abbassa.
Una verifica di ciò è stata fatta da Marina Piovera e Michele Proietti nella loro Guida alla previdenza degli avvocati aggiornata alla riforma in vigore dal 2025, edizione Cedam.
Numeri alla mano, gli autori hanno dimostrato che “il livello di pensione per gli iscritti in regime contributivo puro – cioè gli iscritti avvocati dal 01.01.2025 – appare insufficiente a mantenere il tenore di vita raggiunto durante l’attività lavorativa. Per questi iscritti, si pone non solo un tema di adeguatezza della pensione ma anche di equità intergenerazionale, posto che non vengono garantire loro le stesse risorse e possibilità delle generazioni precedenti. La proposta di riforma del 2022 aveva in realtà tentato di ridurre lo squilibrio a danno dei nuovi iscritti, sfruttando la possibilità offerta dalla legge 12/7/2011, n. 133 (Legge Lo Presti) e desinando l’1% del contributo integrativo all’incremento del montante individuale, ma tale misura, per un problema di costi, non è stata riproposta con la riforma del 2024. Questa scelta, se da un lato è andata a beneficio della sostenibilità finanziaria del sistema, dall’altro ha imposto un sacrificio agli iscritti più giovani, che vedono appunto ridotte le proprie prestazioni rispetto alle generazioni precedenti, con un impatto sulle loro prospettive di lungo periodo”.(pag. 160 della Guida).
Tanto è vero questo che i Ministeri vigilanti, approvando la riforma di CF l’hanno invitata “a dedicare maggiore dettaglio all’analisi dei tassi di sostituzione, sia lordi che netti, ai fini dell’adozione di eventuali politiche da mettere in atto per il miglioramento delle prestazioni pensionistiche. Infine, si condivide quanto segnalato dal covigilante Ministero dell’economia che considera opportuna la pubblicazione, sul sito della Cassa, sia delle risultanze attuariali più recenti trasmesse a corredo del provvedimento in esame sia di una adeguata informativa circa l’importo della futura pensione degli iscritti secondo diverse ipotesi di sviluppo di carriera”.
Come si esce da questa situazione che è un po’ comune a tutte le Casse dei liberi professionisti?
Le soluzioni, a mio avviso, sono due: si può transitare dal modello Bismarckiano al modello Beveridgiano, nei termini sopra descritti, cioè coprendo in misura uguale per tutti i lavoratori, i bisogni essenziali (prestazioni flat rate, cioè a somma fissa uguale per tutti, senza restrizioni all’accesso e finanziate con gettito fiscale, per Beveridge il welfare è un diritto di cittadinanza non carità pubblica), oppure evitare che la durata della pensione continui ad aumentare rispetto alla durata della vita attiva, così da migliorare, in parallelo, sia la sostenibilità che l’adeguatezza.
Per fare questo sarà necessario adeguare automaticamente l’età pensionabile all’aumento della speranza di vita.
Al Legislatore previdenziale non può mancare la lungimiranza.
Invito a leggere “Welfare state: il futuro è nel ritorno a Beveridge” del compianto prof. Gianni Toniolo al seguente link (https://share.google/kE6RRj8CDi75eYjGF) di Lavoce.info
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