Anno: XXVI - Numero 124    
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I problemi delle Casse di previdenza

Oltre a quello demografico - reddituale, del quale ho già argomento nei miei 14 quaderni che ho pubblicato tutti online, ve ne sono 2, più subdoli perché molto tecnici e silenti.

I problemi delle Casse di previdenza

– la contrarietà delle Casse di Previdenza ad applicare, negli investimenti, il codice degli appalti e

– l’applicazione della diversificazione, regola aurea della finanza, anche a difesa della molteplicità delle Casse, quasi che la specificità di ogni singola professione, richieda una molteplicità di Casse.

Sulla prima questione ho già trattato nel mio “Le Casse non voglio il Codice degli appalti per le Casse” (https://www.mondoprofessionisti.it/casse-di-previdenza/niente-codice-degli-appalti-per-le-casse/)

Le Casse di Previdenza sono organismi di diritto pubblico e questo era già stato ribadito sotto la vigenza del precedente codice degli appalti.

«La categoria di organismo di diritto pubblico, di derivazione comunitaria, è volta ad accogliere una nozione sostanziale di amministrazione aggiudicatrice, nel dichiarato intento di evitare elusioni della ratio sottesa all’intero corpus normativo in materia di appalti pubblici (cfr. direttiva 89/440/CE). A mente dell’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18/CE e dell’articolo 3, comma 26, del Codice dei contratti – che ne costituisce attuazione – si definisce organismo di diritto pubblico qualsiasi organismo, anche in forma societaria:

(i) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, avente carattere non industriale o commerciale;

(ii) dotato di personalità giuridica;

(iii) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.

Gli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico che soddisfano i suddetti criteri figurano nell’allegato III della direttiva 2004/18/CE e nel corrispondente allegato III del Codice dei contratti. Detti elenchi, per espressa previsione normativa, non hanno carattere di esaustività. Essi possono, tuttavia, essere modificati soltanto previa notificazione obbligatoria da parte degli Stati membri alla Commissione, secondo quanto disposto dall’articolo 79, paragrafo I, lettera d, della citata direttiva, ai sensi del quale solo la Commissione può variare, secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 77, paragrafo 2, “gli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico di cui all’allegato III, allorché ciò si renda necessario in base a quanto notificato dagli Stati membri”.

I criteri enumerati sono stati oggetto di ampia e puntuale elaborazione giurisprudenziale, orientata all’accoglimento di una nozione che, al di là della veste giuridica, conduca ad una qualificazione sostanziale del soggetto considerato, a prescindere da indici prettamente formalistici.

Sul quadro normativo fin qui succintamente delineato insiste la norma oggetto del presente atto di segnalazione (articolo 1, comma 10-ter, del d.l. n. 162/2008).

La disposizione stabilisce che, ai fini dell’applicazione del Codice dei contratti, “non rientrano negli elenchi degli organismi e delle categorie di organismi di diritto pubblico gli enti di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, e gli enti trasformati in associazioni o in fondazioni”, a patto che gli stessi non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario, di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 e di cui al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103 e fatte salve le misure di pubblicità sugli appalti di lavori, servizi e forniture. Gli enti di cui trattasi sono stati trasformati in persone giuridiche private dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (“Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza”), il quale, all’articolo 1, comma 2, stabilisce che “gli enti trasformati continuano a sussistere come enti senza scopo di lucro e assumono la personalità giuridica di diritto privato, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del codice civile (…) rimanendo titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni”. Il terzo comma dello stesso articolo precisa che “gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione”.

Come già osservato dall’Autorità (cfr. deliberazione n. 14 del 25 febbraio 2009), la questione circa la natura degli enti previdenziali privatizzati va risolta verificando la ricorrenza dei presupposti di cui all’articolo 3, comma 26, del Codice dei contratti. Sulla base di una simile analisi, non possono sussistere dubbi in merito alla ricorrenza, nel caso in esame, dei requisiti della personalità giuridica e dell’istituzione per il soddisfacimento di interessi di carattere generale.

Con riguardo al primo profilo, è lo stesso articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 509/1994 ad attribuire la personalità giuridica agli enti in esame. Quanto poi ai fini perseguiti, il medesimo decreto statuisce che gli enti previdenziali privatizzati continuano a svolgere attività previdenziali ed assistenziali a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Pertanto, l’attività istituzionale consiste, anche dopo la privatizzazione, nel curare e provvedere ai bisogni previdenziali e assistenziali di determinati soggetti, i quali sono tenuti ex lege all’iscrizione ed alla contribuzione.

A riguardo, si rileva che l’articolo 38 della Costituzione sancisce come diritto fondamentale dei lavoratori, cui lo Stato è tenuto a provvedere, l’assicurazione di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia. Risulta, quindi, evidente che l’attività di cura e soddisfacimento di tali bisogni, riconosciuti dalla Costituzione e propri della generalità dei lavoratori, ha natura pubblicistica e che tale natura, stante il perdurante obbligo di iscrizione e contribuzione, deve ritenersi immutata anche dopo la privatizzazione ad opera del d.lgs. n. 509/1994.

Per ciò che concerne il terzo parametro, l’influenza pubblica dominante deve ritenersi sussistente dal momento che la contribuzione obbligatoria di tipo solidaristico, posta a carico degli iscritti, realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato.

Ed infatti, pur essendo previsto (articolo 1, comma 3, del d.lgs. n. 509/1994) che, agli enti previdenziali privatizzati, “non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali”, tuttavia, la contribuzione obbligatoria sancita dalla stessa norma rappresenta comunque una erogazione di denaro riconosciuta all’ente ex lege: essa, sebbene non integri una obbligazione formalmente tributaria, è idonea ad integrare lo schema del finanziamento pubblico.

L’interpretazione che precede è avvalorata sia dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, 3 giugno 2005, n. 4364; TAR Lazio, Roma, sez. III bis, 4 agosto 2010, n. 30034, secondo cui ”se la contribuzione obbligatoria posta a carico degli iscritti dell’ente realizza una forma indiretta di concorso finanziario dello Stato, sussiste la condizione (finanziamento pubblico o altri ausili finanziari pubblici) che vale ad includere la sussunzione delle associazioni e delle fondazioni (già enti di diritto pubblico e poi trasformati in enti di diritto privato) tra gli organismi di diritto pubblico”) che dalla Corte dei Conti (cfr. nota del 7 agosto 2009, prot. n. 2980, della sezione del controllo sugli enti) e dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. CGCE sentenza 11 giugno 2009, causa C-300/07, secondo cui “l’art. 1, n. 9, secondo comma, lett. c, prima alternativa, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che sussiste finanziamento maggioritario da parte dello Stato quando le attività di casse pubbliche di assicurazione malattia sono finanziate in via principale mediante contributi, a carico degli affiliati, imposti, calcolati e riscossi in base a norme di diritto pubblico come quelle oggetto della causa principale. Siffatte casse di assicurazione malattia devono essere considerate organismi di diritto pubblico e, quindi, amministrazioni aggiudicatrici ai fini dell’applicazione delle norme di tale direttiva”).

A ciò si aggiunga che gli articoli 2 e 3 del d.lgs. n. 509/1994 evidenziano numerosi momenti di ingerenza ed intervento dello Stato nell’attività gestionale, amministrativa e contabile degli enti previdenziali privatizzati, riconducibili alla nozione di controllo di cui alla definizione di organismo di diritto pubblico: la possibilità di commissariamento da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali in caso di disavanzo economico – finanziario o di gravi violazioni da parte degli organismi di amministrazione (articolo 2, commi 4 e 6), la vigilanza del Ministero del lavoro, unitamente al Ministero dell’economia e delle finanze, in forma di approvazione dello statuto, dei regolamenti e di ogni eventuale modifica degli stessi (articolo 3, commi 1, 2 e 3), il controllo generale sulla gestione delle assicurazioni obbligatorie esercitato dalla Corte dei Conti.

Pertanto, gli enti previdenziali che dispongono di indirette forme di finanziamento pubblico, a motivo della contribuzione obbligatoria, devono essere qualificati alla stregua di organismi di diritto pubblico: da ciò discende l’applicabilità della disciplina dettata dal Codice dei contratti.» (Fonte: Anac).

Per questo da 14 anni si attende, invano, il regolamento per gli investimenti.

Sulla questione n. 2, la resistenza al cambiamento, e cioè a creare una unica Cassa di previdenza per tutti i professionisti, che consentirebbe economie di scala in risparmio considerevoli, le Casse invocano la specificità di ogni singola professione facendo finta di dimenticare che l’INPS tutela 26.618.000 iscritti, dati 2023, con ben 13 categorie di lavoratori interessati!!

In realtà attraverso la specificità di ogni singola professione si difendono rendite di posizione, alle quali non si vuole rinunciare e chi lo dice viene silenziato e oscurato.

 

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