Il relativismo del terzo mandato
Per meglio comprendere le nostre valutazioni critiche, è opportuna una narrazione che ricordi anche una sintetica cronologia degli avvenimenti: il 29 aprile si è svolta l’agorà degli ordini e delle unioni, riunione come noto introdotta per la prima volta dall’imperatore prima del golpe di Rimini, per cercare di bypassare il congresso e i suoi esiti dialogando direttamente appunto con ordini e unioni.
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Mentre solo oggi, e chissà perché mai prima, c’è chi finalmente ci racconta come si sono svolti i lavori del “tavolo” e chi si lamenta appunto di un tale metodo di lavoro, oltre che del risultato, dimenticando che avendo partecipato personalmente o con propri dirigenti ben avrebbe potuto denunciare prima di oggi quanto stava accadendo, ci sia consentito commentare l’agire del principe in relazione alla bozza di riforma della legge professionale, sotto il profilo della gestione politica del testo e delle iniziative per la sua approvazione.
Per meglio comprendere le nostre valutazioni critiche, è opportuna una narrazione che ricordi anche una sintetica cronologia degli avvenimenti: il 29 aprile si è svolta l’agorà degli ordini e delle unioni, riunione come noto introdotta per la prima volta dall’imperatore prima del golpe di Rimini, per cercare di bypassare il congresso e i suoi esiti dialogando direttamente appunto con ordini e unioni. L’agorà non è in alcun modo una sede deputata a rappresentare l’avvocatura né tantomeno ad esprimerne la volontà e desiderata, ma di certo è luogo più affine e ai vertici del consiglio nazionale rispetto al congresso, ovviamente congresso politico e non giuridico Forense, com’era e come forse lo si vorrebbe ancora.
Dopo la riunione dell’agorà, il principe annunciava, unitamente a molti di coloro che condividono le sue visioni, che il testo condiviso dell’avvocatura sarebbe stato presentato alla politica senza ritardi, non essendo necessario alcun ulteriore passaggio di discussione e tantomeno di approvazione. Il testo avrebbe dovuto essere fatto proprio da qualche parlamentare per essere depositato come proposta di legge di ben 91 articoli, così da avviare l’iter parlamentare. Nulla di tutto ciò accadeva, peraltro.
Il 10 giugno successivo, a Siracusa, il ministro Nordio dichiarava che la riforma era sì necessaria e da farsi, ma la subordinava con chiarezza alla preventiva approvazione della riforma costituzionale che avrebbe accolto altra richiesta dei vertici dell’avvocatura e cioè il cosiddetto “ Avv. in costituzione“.
Qualche giorno dopo, in parlamento, rispondendo ad una interrogazione specifica, il ministro cambiava radicalmente avviso e sosteneva che si sarebbe proceduto con un disegno di legge delega, e quindi con un provvedimento governativo.
Sia a Siracusa, sostenendo il disegno di legge previa riforma costituzionale, che in parlamento, sostenendo il diverso iter della legge delega, il ministro otteneva il plauso del principe, pur essendo le due vie del tutto diverse, sia come procedimento che come contenuti, sviluppi e possibili risultati. Ma diamo per scontato questo aspetto, essendo Avvocati.
Questa contraddizione, o comunque questo accettare qualsiasi possibile iter pur di conseguire il risultato, quale che fosse, ha trovato conferma nella lettera datata 22 maggio, e quindi successiva a Siracusa ma anche alla risposta all’interrogazione parlamentare di cui ho detto, che il Principe ha ritenuto di indirizzare ai parlamentari avvocati, e solo a quelli. In tale missiva infatti, senza fare sorprendentemente menzione del consenso dato al ministro sulla ipotesi di legge delega, e quindi ad un iter in prima battuta governativo, si chiedeva ai parlamentari di fare quanto possibile per far sì che il testo di proposta di riforma venisse depositato e quindi successivamente discusso dal parlamento. Oltre a chiederci del perché la missiva non sia stata inviata ai parlamentari tutti, o quantomeno ai responsabili giustizia dei vari partiti dei due rami del parlamento, ci chiediamo sinceramente cosa ne possa pensare il ministro e con lui il suo capo di gabinetto, che si sono spesi per la legge delega, verosimilmente, come taluni sostengono, proprio su pressioni del nostro.
Quello che invece ci sembra evidente è che non ci sia tanto interesse per il risultato finale che si potrebbe ottenere, quanto per potersi fregiare del merito (posto che merito possa essere definito) di aver portato a compimento la riforma ulteriore della nostra legge ordinamentale. Grande la analogia con quello che accadde nel 2012 quando il CNF era presieduto dal non dimenticato Guido Alpa. E anche in questo caso, proprio come allora, il testo di riforma è del tutto lacunoso e inadatto a produrre un risultato realmente utile per l’avvocatura, come molte voci, in aumento giorno dopo giorno, finalmente vanno sostenendo.
Forse l’unico punto di un qualche interesse, ovviamente per chi pensa di potersene giovare, è il venir meno dell’attuale limite del doppio mandato. A questo proposito, non possiamo non osservare che su il dubbio del 25 maggio, ieri, compariva un articolo a firma Mauro Bazzucchi, dal titolo “volevo essere un puro“. Questo articolo ci narra di come il movimento cinque stelle per bocca del leader Conte, tessa oggi le lodi proprio del venir meno dello sbarramento dei due mandati che gli stessi cinque stelle avevano voluto, proprio come mezzo per scardinare rendite di posizione, abbattere tetti e muri che impedivano l’accesso al parlamento di forze nuove e consentivano per contro la sclerotizzazione delle cariche. Ora che alle cariche sono arrivati, e vogliono continuare ad occuparle, non serve più: altri potrebbero entrare, infatti, e mandarli a casa….
Proprio come nell’avvocatura, quindi.
E ricordo che nel 2012 proprio l’inserimento di tale limite fu uno dei cavalli di battaglia del presidente Alpa, per sostenere il contenuto “rivoluzionario“ e grandemente positivo della riforma che egli aveva portato a compimento.
Forse pubblicare sul foglio del CNF la vicenda dei mandati dei cinque stelle, portati ora a tre, ma con possibilità di abbattere del tutto il limite, voleva essere un indiretto sostegno a quanto contenuto nella proposta di riforma del nostro ordinamento, ma in realtà e paradossalmente, il titolo dato al pezzo, e più in generale il tono dello stesso, sembrano proprio andare in direzione opposta, dal momento che se Conte voleva essere un puro quando sosteneva il limite rigido del doppio mandato voluto da Grillo, ora che contribuisce a rimuoverlo di certo sembra di capire che puro non voglia essere o non sia più. E questo stupisce, vista la sede che ospita questo intervento.
Si potrebbe parlare quindi per i cinque stelle, ma anche per l’avvocatura, di “relativismo“ del terzo mandato.
E così le sorti dell’avvocatura sembrerebbero oggi in bilico non già tra ipotesi di norme funzionali a un reale ed auspicato ammodernamento, anche in ottica di competitivita’, bensì tra un limite di mandato “relativo” in funzione delle esigenze del momento e una sorta di pesca a strascico, (come noto attuata senza esche specifiche per particolari qualità di pesce, ma indifferentemente con una lunga rete che raccoglie tutto ciò che le capita a tiro), che sembra essere praticata da chi vuole ad ogni costo un risultato ma non gli interessa poi più tanto quale, basta che lo si raggiunga.
E intanto l’opposizione, più o meno dettata da interessi personali, monta e si manifesta ogni giorno di più e intende condizionare lo svolgimento del congresso di Torino del prossimo autunno per l’appunto con una ulteriore discussione dei punti e degli snodi principali della riforma ordinamentale. Di certo questo non sfugge alla politica…
In chiusura, quindi, osserviamo sommessamente che la gestione politica di questo tentativo di riforma anche solo per le poche cose che abbiamo riepilogato non può certamente dirsi particolarmente abile, né tantomeno un successo.
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