Il caso Santanchè e il rapporto fra politica e magistratura
La Procura di Milano ha notificato infatti la chiusura delle indagini preliminari a carico della ministra Daniela Santanchè per l’ipotesi di truffa aggravata in danno dell’Inps.
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La vicenda ruota intorno ai dipendenti di Visibilia messi in cassa integrazione a zero ore in tempi di emergenza Covid e pagati dallo Stato con gli aiuti pubblici varati dal governo Conte 2, ma che – secondo gli inquirenti – continuavano a lavorare.
Complessivamente, sarebbero state ingiustamente ottenute 20.117 ore di cassa integrazione per un totale di 126.468 euro chiesti e ottenuti dall’Inps durante il periodo del Covid, dal maggio 2020 al febbraio 2022 per sette dipendenti di Visibila Editore e sei di Visibila Concessionaria, i quali in realtà avrebbero continuato a lavorare regolarmente. Si vedrà se il magistrato deciderà per il rinvio a giudizio oppure per l’archiviazione.
Ora, comunque vada il caso Santanchè interviene, pesantemente, nel rapporto tra politica e magistratura.
Ai magistrati è vietata, perché illecito disciplinare, “l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici” (art. 3.1.h) d.lgs. 109/2006 come modificato nella parte in corsivo dall’art. 1.3 lett. d) n. 2 l. 269/2006). Ciò in attuazione dell’art. 98.3 Cost. secondo cui “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati…”.
Infatti, “l’estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l’indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l’attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica” (C. cost. 224/2009, 2; Cass., s.u. civ. 27987/2013; Csm, sez. disc. 15/2014).
Quindi, in base alla disciplina vigente, i magistrati possono assumere cariche politiche, elettive e no, ma non possono né iscriversi ad un partito politico, né, anche da non iscritti, partecipare alla sua vita politica interna, se non in modo occasionale.
In questo quadro la politica non può, a mio giudizio, attendere le decisioni della Magistratura, rinvio a giudizio si o no,ma deve essere in grado di fare una valutazione autonoma dei fatti rispetto alla Magistratura, intervenendo a prescindere.
Diversamente si riconoscerebbe alla Magistratura il potere di dettare la linea il che costituirebbe un vulnus allo stato di diritto.
Infatti l’indipendenza e l’autonomia tra il potere politico e il potere giudiziario rappresentano un caposaldo fondamentale dello Stato Costituzionale.
Negli ultimi anni è accresciuto il conflitto tra poteri dello Stato caratterizzato dalla crescente incidenza delle indagini giudiziarie sulle dinamiche della politica.
In uno Stato di diritto e democratico è indispensabile che il potere politico e il potere giudiziario siano separati: da un lato la politica deve rispettare l’indipendenza della Magistratura astenendosi da ogni iniziativa che ne impedisca o limiti il corretto esercizio, dall’altro è indispensabile che la Magistratura sia a sua volta indipendente da possibili ingerenze del potere politico.
Se questi concetti venissero rispettati, nessuno potrebbe sentirsi perseguitato da uno dei due poteri.
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