Assoprevidenza. Salgono gli iscritti ma rendimenti in calo
A fine 2018, le risorse accumulate nei fondi pensioni complementari hanno raggiunto il livello record di 167 miliardi, in aumento del 3% rispetto all'anno precedente.
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Il dato è emerso nel corso dell’assemblea di Assoprevidenza, elaborando le statistiche fornite dalla Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione. Il patrimonio è pari al 9,5% del Pil e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nel 2018 sono stati pari a 16,3 miliardi. La quota più importante pari a 5,1 miliardi (+5,7%) è andata ai fondi negoziali costituiti in base agli accordi di categoria. Poi ci sono 2 miliardi (+6,9%) raccolti dai fondi aperti istituiti da banche, Sgr, Sim e imprese di assicurazione. Altri 4,3 miliardi sono andati ai nuovi Pip (+5,1%) e 4,6 miliardi ai fondi preesistenti. Il totale degli iscritti alla previdenza complementare (dato al 31 dicembre 2018) è 7,9 milioni, pari al 30,2% della forza lavoro. Dalle statistiche, gli iscritti ai fondi negoziali sono 3 milioni, ai fondi aperti 1,4 milioni, ai pip nuovi 3,1 milioni, ai fondi preesistenti poco più di 600 mila. I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.630 euro all’anno. Il 25% del totale degli iscritti alla previdenza complementare (circa 2 milioni) non ha effettuato contribuzioni nel 2018. Circa il 60% (1,2 milioni) non versa contributi da almeno tre anni. La destinazione degli investimenti vede ancora la prevalenza dei titoli di Stato (41,7% nel 2018): la metà sono Btp e altra carta del Tesoro, in lieve calo rispetto all’anno precedente (21,4% contro il 22,7% del 2017). L’offerta di previdenza complementare in Italia si compone di 398 prodotti: 33 fondi pensione negoziali, 43 fondi pensione aperti, 70 piani individuali pensionistici nuovi, 251 fondi preesistenti oltre a Fondinps. Tuttavia a questi successi sul piano delle sottoscrizioni e della crescita del patrimonio si contrappone, per la prima volta da dieci anni una battuta d’arresto per quanto riguarda i rendimenti. La crisi dei mercati finanziari che l’anno scorso ha colpito sia le azioni che le obbligazioni ha portato a inferiori a quello del semplice Tfr. I fondi pensione negoziali e i fonti aperti hanno perso, rispettivamente, il 2,5% e il 4,5%. Per i Pip la flessione è stata addirittura del 6,5%. Solo per le gestioni separate di ramo I (polizze vita) il risultato è stato positivo dell’1,7%, ma comunque inferiore alla rivalutazione del Tfr, che al netto delle tasse è stata dell’1,9%. Tuttavia fra il 2009 e il 2018 i fondi pensione risultano ancora decisamente convenienti: il rendimento netto medio annuo composto è stato del 3,7% per i fondi negoziali e del 4,1% per i fondi aperti. I Pip hanno dato il 4% per le gestioni di ramo III (unit linked e index linked) e al 2,7% per quelle di ramo I.
Nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr è stata del 2%. Sotto il profilo dei costi, i Pip restano i prodotti più costosi: in dieci anni, l’Indicatore sintetico dei costi (ISC) è in media del 2,21% (1,88% per le gestioni separate di ramo I e 2,29% per le gestioni di ramo III), mentre si conferma la convenienza dei fondi pensione negoziali (0,39%) e fondi pensione aperti (1,37%). La situazione sta migliorando nel 2019 grazie alla ripresa dei mercati azionari. Secondo le rilevazioni di Money.it i migliori fondi pensione fino ad ora sono i quattro prodotti Unipol Comparto Azionario tutti appaiati con performance comprese fra l’11 e il 12%.
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