La sfida del diritto: tutelare le diversità ma il diritto non è una merce di scambio “Il livello di civiltà di una società è dato dalla misura con cui è in grado di assicurare a ciascuno il diritto di essere se stessi”.
“Il livello di civiltà di una società è dato dalla misura con cui è in grado di assicurare a ciascuno il diritto di essere se stessi”. Ma che significa essere se stessi?
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Per scoprirlo bisogna leggere l’ultima pubblicazione del prof. Guido Alpa “Il diritto di essere se stessi” (La Nave di Teseo, 336 pag.).
Per il prof. Alpa il diritto costruisce intorno alla persona una sorta di gabbia in cui ciascuno è costretto, disciplinando in modo quasi ossessivo come la persona si chiama, quale sesso riveste, a quale collettività appartiene, il suo stato di libertà o di servitù, se deve essere classificato come povero, analfabeta, cittadino o straniero.
In fin dei conti, sottolinea il prof. Alpa, l’identità non è né una fotografia né un punto di arrivo: l’identità è uno strumento, che di volta in volta può assolvere ad una funzione liberatoria o persecutoria.
Ora nel mondo forense c’è chi si sente “imperatore” e pensa di continuare a esserlo per sempre, incurante di numerose sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e financo della Corte Costituzionale che gli dicono «ma no, dopo due mandati devi tornare al tuo orticello».
C’è un diritto a essere sé stessi imperatori in uno stato di diritto o questa pretesa implica il disfacimento dello stato di diritto?
Dalla lettura del corpus gaiano risulta una nozione unitaria di “persona’, il cui significato corrisponde sostanzialmente a «essere umano nel contesto del diritto», nonostante presenti sfumature e dia spazio a differenti traduzioni. Questo significato generico, astratto, classificatorio, mediante il quale Gaio manifesta la valenza giuridica del discorso che svolge, non manca di analogie con alcuni significati che si riscontrano nel lessico comune, nel quale ‘persona’, al di là del senso stretto di «maschera», significa, per traslato, «personaggio» e quindi «ruolo» impersonato dall’attore e «funzione» e, infine, «l’uomo stesso in quanto investito di una funzione o di una carica». Maggiori affinità, tuttavia, possono riscontrarsi con il valore di ‘persona’ che si incontra in altri linguaggi specialistici della latinità, dove ‘persona’ è anche colui che agisce o che subisce l’azione in un contesto determinato. (Ulrico Agnati, «Persona iuris vocabulum» Per un’interpretazione giuridica di «persona» nelle opere di Gaio).
I professori, quelli con la P maiuscola diversi dai quivis de populo sparute pecore nere, in questi giorni si interrogano se si stia agitando un problema giuridico o politico sul presupposto, sacrosanto, che deve essere assicurato a ciascuno il diritto di percorrere l’intera via giudiziaria.
A mio giudizio, il diritto ad essere se stessi significa semplicemente il diritto – dovere di rispettare il codice deontologico forense che si applica a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi e si applicano anche ai comportamenti nella vita privata, quando ne risulti compromessa la reputazione personale e l’immagine della professione forense perché l’avvocato, anche al di fuori dell’attività professionale, deve osservare i doveri di probità, dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e dell’immagine della professione forense.
Io do questa chiave di lettura al diritto di essere sé stessi.
Tratto da Diritto e Giustizia
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