VERSO UN ESERCITO DI NULLAFACENTI
Non studiano, non lavorano, non si formano. Sono 3 milioni in Italia i ragazzi bloccati in uno stallo intergenerazionale che dai 15 ai 34 anni li vede inattivi e perlopiù a carico delle famiglie d'origine.
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Scoraggiati prima dalla pandemia e ora dalle difficoltà economiche derivanti dalla guerra e dal carovita, i Neet (Not in Education, Employment or Training) rappresentano una ampia fetta della popolazione giovanile, in un Paese avviato verso un progressivo invecchiamento demografico e un crollo della natalità che ci vede ai primi posti al mondo dopo il Giappone. Un quadro allarmante, caratterizzato da disuguaglianze territoriali, di genere e di cittadinanza, come rimostra il report di ActionAid e Cgil “Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche”.
Dallo studio emerge che l’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di Neet, di cui più della metà sono donne: 1,7 milioni su un totale di 3 milioni. Dati alla mano, l’incidenza è maggiore nel Sud Italia, dove i giovani che non studiano né lavorano sono il 39% rispetto al 23% del Centro Italia, al 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est. I numeri peggiori si registrano in Sicilia (40,1%), Calabria (39,9%) e Campania (38,1%). Per il Centro Italia, il Lazio ha la più alta incidenza con circa il 25,1%, mentre la prima regione del Nord per incidenza dei Neet è la Liguria (21,1%), seguita da Piemonte (20,5%) e Valle d’Aosta (19,6%).
L’inattività, come anticipato, colpisce soprattutto le donne (56%), la cui presenza resta invariata negli anni, a dimostrare come per il genere femminile sia più complesso uscire da questa condizione, anche a causa di stereotipi culturali. Non è un caso che il 26% dei Neet siano genitori, di cui il 23% madri, mentre solo il 3% padri. Un abisso, che dimostra come spesso per le donne l’inattività sia dettata alla disparità di genere nei carichi di cura che impediscono o suggeriscono alle donne di rimanere fuori o uscire dal mercato del lavoro. Un’ulteriore disuguaglianza riguarda poi il complesso tema dell’immigrazione. I giovani Neet di origine straniera o senza cittadinanza italiana sono in numero inferiore rispetto agli italiani (il 18% del totale), ma anche tra questi c’è una maggioranza di donne (57%). In assoluto, i Neet con cittadinanza straniera che hanno solo la licenza media sono 48,4%. Un dato che dovrebbe fare riflettere sul genere di accoglienza e di integrazione che riusciamo a (non) garantire alle persone che arrivano nel nostro Paese.
Ma chi sono, in sostanza, i Neet? Dall’analisi dei dati, è stato possibile individuare alcune sottocategorie che raccontano molto del tessuto sociale italiano. Nel primo cluster si trovano i Giovanissimi fuori dalla scuola, hanno tra i 15 e i 19 anni, hanno un diploma di scuola media, hanno abbandonato gli studi e non hanno mai avuto un’esperienza lavorativa. Non percepiscono un sussidio e sono totalmente a carico della famiglia. Si tratta di un gruppo abbastanza residuale, ma trasversale a tutta l’Italia. Poi ci sono i giovani dai 20 ai 24 anni, hanno il diploma di maturità, sono senza precedenti esperienze lavorative e sono alla ricerca di una prima occupazione. Sono in un nucleo familiare monogenitoriale e sono soprattutto nel Meridione. Si tratta di una categoria nutrita di giovani, che non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro.
Ci sono poi gli ex occupati in cerca di un nuovo lavoro: hanno tra i 25 e i 29 anni, per varie ragioni hanno perso o abbandonato il proprio impiego e ora sono alla ricerca. Sono principalmente maschi, con un alto livello di istruzione, vivono nelle regioni centrali e percepiscono un sussidio di disoccupazione. Infine, ci sono gli scoraggiati, sono giovani dai 30 ai 34 anni con precedenti esperienze lavorative e ora inattivi. Risiedono al Nord e in aree non metropolitane e sono soprattutto donne.Per tutti questi ragazzi c’è bisogno di un’iniezione di fiducia che, in concreto, si può tradurre in una maggiore attenzione al territorio per evitare la dispersione scolastica giovanile, in corsi di formazione per facilitare l’ingresso (o il ritorno) nel mercato del lavoro e in un abbassamento delle tasse delle imprese per agevolare le assunzioni.
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