Un Manifesto dei giuristi contro il nuovo medioevo.
Presentato il documento in difesa della “Giustizia penale liberali”, 35 punti per arginare «una deriva che è nella società oltre che nella politica»
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«Il medioevo penale è arrivato», affermano gli avvocati e i professori delle materie processual-penalistiche firmatari del “Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo”, presentato ieri pomeriggio in una affollatissima aula della facoltà di Giurisprudenza dell’università Statale di Milano. L’iniziativa è stato promossa dall’Unione Camere penali, che ha scelto il capoluogo lombardo per illustrare i suoi 35 punti fondamentali, mirati a riportare la discussione sul processo penale e sul diritto penale «ai principi fondanti dell’illuminismo e del liberalismo, che hanno caratterizzato la cultura giuridica italiana ed europea degli ultimi tre secoli». «Dall’attuale logica del rancore al ritorno al garantismo», affermano i centocinquanta professori di tutte le università italiane che hanno aderito al Manifesto, proposto dal presidente dell’Ucpi Gian Domenico Caiazza già nel corso del congresso che, a ottobre, lo ha designato al vertice dei penalisti italiani. Sarà Caiazza a tenere oggi l’intervento di chiusura della manifestazione, nella seconda di due giornate intense. Ieri sul banco degli “imputati” sono finiti diversi provvedimenti approvati o proposti dal governo in questa prima fase della legislatura. Tutti i provvedimenti dell’ultimo anno a firma Lega e M5S sono stati aspramente criticati dai giuristi presenti. Dalla modifica della legittima difesa all’aumento generalizzato delle pene, dalla “spazzacorrotti”, che presenterebbe profili di chiara violazione della Carta costituzionale, all’abolizione del rito abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo. Una riforma improntata alla logica della “vendetta”. Per Carlo Fiore, emerito di Diritto penale all’università Federico II di Napoli, «è difficile dare una risposta al come mai, alle ragioni per cui si è arrivati a tutto ciò. Una deriva che parte da lontano. Certamente, gli ultimi anni», ha dichiarato Fiore, «sono stati caratterizzati da uno scambio fra una promessa di sicurezza e un maggior con consenso elettorale». «Si sta erodendo un patrimonio culturale improntato da anni alle garanzie», ha puntualizzato Ennio Amodio, emerito di Procedura penale all’università di Milano, che ha parlato di «un tradimento della Costituzione con riforme illiberali dominate da un giustizialismo spinto». Lo schema nel quale si dipanano le politiche dell’attuale maggioranza gialloverde sono «l’emotività, la fine della proporzionalità e il disprezzo della dignità umana», ha aggiunto il processual penalista. «Urge schierarsi senza retorica, per combattere con l’arte del dubbio, prima che sia troppo tardi». Il Manifesto vuole dunque essere, per Amodio «un estintore per spegnere l’incendio dei diritti, per ritornale al giusto processo ed al rispetto delle garanzie». Un confronto con la politica e il legislatore è dunque indispensabile. Il problema è che bisogna parlare lo stesso linguaggio. In un contesto come l’attuale, caratterizzato da un «profondo degrado anche nel lessico», per Vittorio Manes, ordinario di Diritto penale all’università di Bologna, «l’impresa è ardua». «Nell’attuale dibattito politico sono sufficienti 50 parole: molte di meno in quello penale», ha aggiunto Manes, stigmatizzando il livello del legislatore. Il Manifesto vuole pertanto proporsi anche come «progetto culturale», considerato il fatto che il 60 percento degli italiani ha dato fiducia agli attuali partiti di governo ed alle loro politiche in materia di giustizia proseguono i firmatati del Manifesto. Il rischio concreto, come ricordato sempre da Manes, è che si arrivi ad avallare anche «la tortura o la pena di morte: la proposta sulla castrazione chimica, in discussione in questi giorni, potrebbe essere il primo passo». Per reagire a questa deriva, una possibile soluzione è stata offerta agli avvocati da Nicolò Zanon, giudice della Corte costituzionale: «Sollevate il più possibile questioni di costituzionalità sulle norme». «Il populismo di governo si è fatto populismo giudiziario», ha dichiarato Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, «si tratta di una ideologia illiberale che sta avanzando velocemente nella società, favorita anche da uno Stato debole nel salvaguardare i suoi principi cardine»
Fonte. Il Dubbio
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