Anno: XXVI - Numero 168    
Martedì 2 Settembre 2025 ore 14:00
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TFS, LA CONSULTA E LA PROPOSTA DURIGON

Dalla rateizzazione ai ritardi nei pagamenti: le pronunce della Corte costituzionale e il piano del Governo per restituire subito il trattamento di fine servizio ai dipendenti pubblici.

TFS, LA CONSULTA E LA PROPOSTA DURIGON

Da ultimo con la massima n. 45599 di seguito alla sentenza n.130/2023 del 9.5.2023 che qui riproduco:

Le indennità di fine servizio erogate nel settore pubblico vanno ricondotte, anche grazie al ruolo rilevante dell’autonomia collettiva, al paradigma comune della retribuzione differita con concorrente funzione previdenziale, nell’àmbito di un percorso di tendenziale assimilazione alle regole dettate nel settore privato dall’art. 2120 cod. civ. Esse costituiscono una componente del compenso conquistato attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa e, quindi, una parte integrante del patrimonio del beneficiario, che come tale spetta ai superstiti in caso di decesso del lavoratore. Pertanto, la natura retributiva attira tali prestazioni nell’ambito applicativo dell’art. 36 Cost. (Precedenti: S. 258/2022 – mass. 45260; S. 159/2019 – mass. 41049; S. 213/2018 – mass. 40853; S. 106/1996 – mass. 22274; S. 243/1993 – mass. 19629 – 19631).

La garanzia della giusta retribuzione (art. 36 Cost.) si sostanzia non soltanto nella congruità dell’ammontare concretamente corrisposto, ma anche nella tempestività dell’erogazione. Il trattamento di fine servizio, in particolare, viene infatti corrisposto nel momento della cessazione dall’impiego al preciso fine di agevolare il dipendente nel far fronte alle difficoltà economiche che possono insorgere con il venir meno della retribuzione. In ciò si realizza la funzione previdenziale, che concorre con quella retributiva. (Precedente: S. 159/2019 – mass. 41050).

La legittimità costituzionale delle norme dalle quali possa scaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore è condizionata alla rigorosa delimitazione temporale dei sacrifici imposti, i quali devono essere eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso. (Precedenti: S. 178/2015 – mass. 38538; O. 299/1999 – mass. 24897).

(Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR Lazio, sez. terza quater, in riferimento all’art. 36 Cost. dell’art. 3, comma 2, del d.l. n. 79 del 1997, come conv., e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come conv., che prevedono rispettivamente il differimento fino a 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e la rateizzazione del versamento dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti ai dipendenti pubblici in caso di cessazione dal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di età o di servizio. Il t.f.s. costituisce un rilevante aggregato della spesa di parte corrente e, per tale ragione, incide significativamente sull’equilibrio del bilancio statale, cosicché non è da escludersi in assoluto che, in situazioni di grave difficoltà finanziaria, il legislatore possa eccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla sua tempestiva corresponsione. Tuttavia, tale intervento è vincolato sia al rispetto del criterio della ragionevolezza della misura prescelta e della sua proporzionalità, che alla durata della misura. Il, sia pur più breve, differimento censurato non realizza invece un equilibrato componimento dei contrapposti interessi alla tempestività della liquidazione del trattamento, da un lato, e al pareggio di bilancio, dall’altro. Esso inoltre rischia di vanificare anche la funzione previdenziale propria di tali prestazioni, poiché il sensibile incremento della pressione inflazionistica in corso acuisce l’esigenza di salvaguardare il valore reale della retribuzione, anche differita. Né può ritenersi satisfattiva la disciplina dell’anticipazione della prestazione, ex art. 23 del d.l. n. 4 del 2019, come conv., o l’anticipazione istituita con la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’INPS 9 novembre 2022, n. 219, che si limitano a riconoscere la facoltà di evitare la percezione differita dell’indennità accedendo però a un finanziamento oneroso di cui lo stesso lavoratore sopporta il costo. Al vulnus costituzionale riscontrato non può, allo stato, porsi rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla discrezionalità del legislatore. Deve, infatti, considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento del differimento in oggetto comporta. La discrezionalità di cui gode il legislatore deve, tuttavia, ritenersi temporalmente limitata. La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige un intervento riformatore prioritario, che contemperi l’indifferibilità della reductio ad legitimitatem con la necessità di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria).

A tutt’oggi l’intervento riformatore richiesto dalla Corte Costituzionale non vi è stato.

Prosegue, infatti, il sequestro forzoso del TFR / TFS, pagato con estremo ritardo per questione di cassa. Poiché le sentenze monito n.159/2019 e n. 130/2023 della Corte Costituzionale non hanno avuto seguito, il TAR Marche, Sezione prima, con ordinanza 15.02.2025, n. 105 (https://mirapa.it/wp-content/uploads/2025/02/ordinanza-105-del-15-febbraio-2025-TAR-Marche.pdf) ha rimesso gli atti nuovamente alla Corte Costituzionale.

Per contro, in vista della manovra di bilancio per il 2026, il Sottosegretario Durigon ha avanzato la proposta di utilizzare il TFR sia per neutralizzare l’aumento di 3 mesi dell’età pensionabile dal 2027 che per implementare la pensione complementare erogata dai fondi pensione.

Se passerà questa proposta, che a me già pare incostituzionale, assisteremo ad un vero e proprio esproprio forzoso di un diritto quesito dei lavoratori, dato che il TFR altro non è che retribuzione già maturata e solo differita nel pagamento.

Portandola, in tutto o in parte, nei fondi pensione verrà sottoposta al rischio finanziario della capitalizzazione, semplicemente scaricato sul lavoratore, senza alcuna garanzia statuale.

Ma un danno non indifferente sarà arrecato anche alle aziende per le quali il TFR dei propri dipendenti rappresenta una forma di liquidità importante.

È vero che per supportare le aziende che, perdendo una fonte di autofinanziamento, devono rivolgersi ad altre modalità di raccolta per avere la liquidità necessaria, il legislatore ha introdotto, nel d.lgs. 252/2005, una serie di misure compensative volte a bilanciare gli effetti negativi ma tali misure erano proporzionali alle quote di TFR non accantonate in azienda, il che comprende sia le somme versate a un fondo pensione, sia quelle versate presso il fondo di tesoreria.

Va da sé che sottraendo altre quote di TFR da destinare ai fondi pensione, le misure compensative del d.lgs. 252/2005 dovrebbero essere riviste.

Come sempre sostengo, ogni intervento nel settore giuslavoristico – previdenziale, se non ben ponderato, è soggetto all’effetto domino con effetti disastrosi.

Un conto è la propaganda al fine di catturare il consenso nell’immediato, altro è occuparsi con lungimiranza della previdenza.

 

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