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STATO CHE PERDE PAGA

Il rimborso potrà arrivare fino a 10.500 euro e il fondo annuale è pari a 8 milioni di euro

STATO CHE PERDE PAGA

Principio semplice che adesso entra anche nel processo penale. Con tanto di posta in bilancio di 8 milioni di euro all’anno, per un rimborso che però non potrà superare i 10.500 euro. Ma vale il principio che, fino a oggi, era previsto solo per i riti civile e amministrativo. La proposta appena passata in commissione alla Camera nella maratona del Bilancio è del deputato di Azione Enrico Costa, ma il governo, con il Guardasigilli Alfonso Bonafede, l’ha fatta sua con qualche modifica minima all’emendamento originario. Che era sottoscritto anche da Lucia Annibali di Italia viva e Maurizio Lupi di Noi per l’Italia, a cui si è aggiunta in aula Giusy Bartolozzi di Forza Italia. Alla fine l’emendamento è passato col voto di tutti. La Lega inoltre ha spinto per portare il budget annuale da 5 a 8 milioni.

Il principio è semplice. Un nuovo articolo del codice penale, il 177bis, seguirà il 177 che riguarda la revoca della liberazione condizionale o l’estinzione della pena, e sarà titolato così: “Rimborso spese legali per gli imputati con sentenza penale divenuta irrevocabile”. È già tutta qui la ratio della nuova norma. Il cui primo articolo spiega il contenuto: “Nel processo penale, all’imputato assolto con sentenza divenuta irrevocabile perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, è riconosciuto un rimborso delle spese legali nel limite massimo di importo pari a 10.500 euro”.

Nel dibattito non è mancato lo scontro sulla necessità di introdurre un “rimborso” oppure una “detrazione”. Ma alla fine ha prevalso la prima ipotesi.

Stiamo parlando quindi di un’assoluzione non solo definitiva, ma che non deve lasciare alcuna ombra di sospetto. Perché la scansione delle condizioni elencata nel primo comma del nuovo 177bis – “perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato” – indicano chiaramente che per ottenere i 10mila euro l’ex imputato deve uscire del tutto immacolato dal processo che, a questo punto, ha subito ingiustamente.

In modo puntiglioso, il nuovo articolo elenca successivamente anche i casi in cui invece non sarà riconosciuta alcuna forma di rimborso, qualora l’imputato sia stato assolto “da uno o più capi di imputazione” ma sia stato “condannato per altri”. Ancora: qualora l’assoluzione sia avvenuta per “estinzione del reato per avvenuta amnistia o prescrizione”, e infine se sia sopravvenuta “la depenalizzazione”.

Tecnicamente il rimborso avverrà “in tre quote annuali di pari importo”, a partire dall’anno successivo “a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”, e non rientrerà ovviamente nel computo del reddito. L’ex imputato ora assolto dovrà presentare la fatturava del difensore, “con espressa indicazione della causale e dell’avvenuto pagamento”, nonché un parere di congruità del Consiglio dell’ordine degli avvocati, e per finire pure l’attestazione della cancelleria dell’irrevocabilità della sentenza di assoluzione.

Secondo Costa – che da mesi sta dietro alla proposta di legge e che ha avuto più di un’interlocuzione con il ministro della Giustizia Bonafede, il quale ha dato il via libera alla norma – la norma ristabilisce un equilibrio e inserisce nel processo penale “il principio della soccombenza” già riconosciuto nei riti civile e amministrativo. Quello per cui “se il cittadino è riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità al reato o, addirittura, l’insussistenza di qualunque fatto di rilevanza penale” ha diritto di avere di fronte uno Stato che gli riconosce il rimborso. La stessa regola vale ancor più se “lo Stato ha esercitato erroneamente la propria pretesa punitiva, sottoponendo senza ragione la persona al lungo, defatigante e spesso umiliante calvario delle indagini e del processo”. Costa cita, in proposito, la definizione data da Salvatore Satta per cui “il processo è esso stesso la pena”.

Il deputato di Azione, ex sottosegretario alla Giustizia con Orlando Guardasigilli e poi ministro degli Affari regionali, cita anche la sentenza 135 del 1987 della Consulta in cui è scritto: “È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa”. Quindi “il costo del processo deve essere supportato da chi ha reso necessaria l’attività del giudice e ha occasionato le spese del suo svolgimento”. Costa elenca anche gli articoli della Costituzione che reggono la ratio della norma: l’articolo 2, per cui lo Stato riconosce e garantisce a ciascuno i propri diritti, senza ostacolarli o farli pagare indebitamente; l’articolo 24, che definisce il diritto di difendersi in giudizio come un principio fondamentale; l’articolo 27, che collega la pena a un accertamento di colpevolezza, “il quale mostra i suoi limiti laddove l’imputato, pur scagionato con formula piena, si trovi di fatto sanzionato, perché costretto a pagare un’ingente somma pecuniaria che, per entità, di poco differirebbe da multe o ammende”; infine l’articolo 111 sul giusto processo.

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