Anno: XXV - Numero 51    
Mercoledì 27 Marzo 2024 ore 13:15
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SEI MILIARDI PER SPEGNERE LE PIAZZE

La necessità è tutta qui, nel provare a chiudere le crepe che si sono aperte sul Paese dopo l’ultimo giro di Chiave.

SEI MILIARDI PER SPEGNERE LE PIAZZE

La quantificazione degli aiuti in soldi, il rimando rassicurante al bonifico diretto sul conto corrente, le date precise per gli accrediti, persino le simulazioni per un ristorante piuttosto che per una palestra. C’è una ragione, meglio una necessità, che impone a Giuseppe Conte di iniziare da qui il racconto dell’ennesimo capitolo della partita che vede contrapposti il Governo e il virus. Ancora una volta da palazzo Chigi, ancora una volta a sera e a ridosso dei tg, ancora con l’approccio analitico utilizzato nel racconto parallelo, quello delle restrizioni che si sono susseguite con i vari Dpcm. La necessità è tutta qui, nel provare a chiudere le crepe che si sono aperte sul Paese dopo l’ultimo giro di chiave – dalle proteste pacifiche dei commercianti a quelle violente delle piazze delle grandi città – con la rassicurazione che il conto economico dei nuovi sacrifici lo paga il Governo. Con 6,4 miliardi.

Prima di lasciare la parola ai ministri fidati che siedono accanto a lui, il titolare del Tesoro Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, Conte allunga le citazioni delle misure contenute nel decreto sugli aiuti a ristoranti, bar, cinema, teatri e a tutte le altre attività che sono finite in lockdown o quasi per via dell’ultima stretta. La promessa fatta appena due giorni fa, quando sempre in diretta tv aveva annunciato il fermo a un pezzo importante del sistema produttivo, viene chiusa con il via libera del provvedimento in Consiglio dei ministri e la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale entro la mezzanotte. Ma non basta. Perché da domenica a oggi nel Paese ha preso forma il dissenso. Quello dei commercianti che mercoledì scenderanno in piazza, quello dei taxi che sfilano sotto il ministero dell’Economia proprio quando è in corso la conferenza stampa a palazzo Chigi. Quello dei tafferugli che scuotono piazza del Popolo, nel cuore di Roma, sempre in contemporanea alla presentazione del decreto sugli aiuti. Quello degli scontri di Napoli e delle vetrine dei negozi sfondate a Torino. E poi il dissenso interno alla maggioranza, con Matteo Renzi che ha chiesto di riscrivere il Dpcm e i suoi a tallonare, riunione dopo riunione, il resto del Governo.

Per questo Conte deve aggiungere un passo all’elenco dei soldi e delle misure. Prova a posizionarsi nel campo degli imprenditori e delle partite Iva. Così: “Non ci sfuggono le difficoltà e i sacrifici chiesti, ma avevamo promesso aiuti rapidi e consistenti e così sarà, ma voglio chiarire che non abbiamo operato scelte indiscriminate perché per noi non ci sono operatori economici di serie A e di serie B”. Il tentativo è evidente: tenere la protesta pacifica fuori da quella violenta, giustificando la prima e condannando la seconda, rafforzando il messaggio che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese lancerà pochi minuti dopo la conferenza stampa, con l’appello diretto ai cittadini a prendere le distanze dai violenti. Ma il nuovo capitolo del racconto del premier non può eludere la questione sanitaria, tra l’altro nel giorno in cui i contagi sono schizzati a quota 21.994. “Non possiamo illuderci che con una curva che continuare a salire le persone possano andare continuamente in giro, in palestra o al ristorante senza timori”, è la premessa che introduce di nuovo il rischio del burrone, quel lockdown che si sta cercando di evitare in tutti i modi e che tuttavia viene sempre citato. Per saldare, e allo stesso tempo per giustificare, il patto con il Paese su restrizioni e soldi, c’è la sottolineatura della necessità delle ultime restrizioni: “Queste misure sono necessarie per evitare che il nostro sistema economico venga danneggiato in modo irreparabile”.

Il tentativo del premier è sempre imposto dall’emergenza ed è sempre lo stesso da settimane, quello cioè di tenere insieme le ragioni del Pil con quelle della salute. Solo che questo equilibrio, già precario e scivoloso da tempo, è saltato sull’onda delle proteste e quindi le ragioni ora sono diventate tre. E quindi è più difficile trovare la quadra di una questione che genera altre questioni perché gli aiuti dividono il fronte dei beneficiari, con i taxi che hanno già indetto lo sciopero e con il mondo dello sport in subbuglio per il tiro degli aiuti previsti. Nel quotidiano e obbligato sforzo di lavorare per non farsi scavalcare dal passo del virus, dalla crisi economica che morde e ora anche della rabbia sociale, la puntata odierna registra l’appiglio ai nuovi aiuti. Anche a costo di tirare la corda delle finanze pubbliche, che il titolare del Tesoro deve definire in ottima salute e pronte ad affrontare anche uno scenario nefasto proprio perché da più parti viene paventato il rischio di una crescita zero a fine anno e di un ricorso a nuovi aiuti. Sul piatto vengono messi 6,4 miliardi ad appena nove giorni dalla manovra che ne ha stanziati 39 e dai 100 miliardi di deficit che è il conto di tutti i decreti anti Covid approvati da marzo a oggi.

Ma le necessità del momento impongono un nuovo sforzo, con aiuti che saranno fino a quattro volte più consistenti rispetto a quelli erogati con il decreto Rilancio di maggio. Il decreto battezzato Ristoro dice questo: lo stanziamento più consistente possibile, che passa dalla necessità di mettere mano ai risparmi in cassa, una platea il più onnicomprensiva possibile, dai ristoranti agli ostelli della gioventù, altre sei settimane di cassa integrazione Covid. La coperta si allunga ancora una volta e guarda già al guado delicatissimo di fine anno, quello spartiacque fissato dal Governo tra la crisi e il rimbalzo. Ecco perché il blocco dei licenziamenti viene prorogato fino al 31 gennaio, così come i pignoramenti. Ed ecco perché nel decreto Ristoro ci sono soldi per tutti, ancora per la sanità e per la scuola. Il conto resta aperto.

Tratto da Huffpost

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