Trump vuole negoziare a tre, mentre si spara
Calda accoglienza per Zelensky alla Casa Bianca scortato dall'Occidente.
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Si punta al trilaterale con Putin, ma sulla strategia ci sono divergenze: non si entra nel dettaglio delle garanzie di sicurezza all’Ucraina e dei possibili territori alla Russia. Per Trump il cessate il fuoco non è necessario; Macron e Merz chiedono una tregua e un ruolo per l’Europa; Meloni s’affida agli Usa. Il presidente russo si consulta coi Brics in attesa della telefonata da Washington
Il clima è cordiale. Donald Trump è nella parte dell’oste accogliente, nessuno screzio con Volodymyr Zelensky stavolta, tanto meno con i leader europei che il presidente Usa riceve alla Casa Bianca subito dopo. Ci sono Friedrich Merz, Emmanuel Macron, Keir Starmer, Giorgia Meloni, Alexander Stubb, oltre a Ursula von der Leyen per l’Ue e Mark Rutte per la Nato. Anche con loro il tycoon mantiene la tradizione delle dichiarazioni alla stampa prima del vertice. L’immagine è quella delle grandi potenze dell’Occidente sedute al tavolo nella massima convivialità, favorita e ricercata minuto per minuto dal padrone di casa che punta a portare tutti allo stesso punto di approdo: sostenere un trilaterale tra lo stesso Trump, Vladimir Putin e Zelensky al più presto. Ma le crepe emergono subito, non appena il tycoon dà la parola a ognuno dei leader presenti, convinto di riuscire a schiacciarli sulle sue posizioni. Il gioco non gli riesce, non del tutto.
Se Meloni si affida totalmente a Trump, Merz e Macron dicono ciò che Zelensky non dice per evitare un altro frontale con il tycoon. Prima del trilaterale tra Ucraina e Russia sotto l’egida degli Stati Uniti “serve un cessate il fuoco”, scandisce il cancelliere tedesco. “I prossimi passi sono i più difficili. Al prossimo meeting vogliamo vedere una tregua, non posso immaginare che possa avere luogo senza un cessate il fuoco”, aggiunge. “Vogliamo la tregua, il cessate il fuoco è una necessità”, gli fa eco il presidente francese. Poco prima, e anche nell’incontro con Zelensky, Trump aveva sgomberato il campo dalla richiesta di cessate il fuoco, dopo che non lo ha ottenuto nel bilaterale con Putin in Alaska venerdì scorso. “Non credo che sia necessario un cessate il fuoco – sono le parole del presidente Usa – So che potrebbe essere una buona cosa, ma capisco anche, dal punto di vista strategico, perché un paese o l’altro non lo vorrebbe. Se c’è un cessate il fuoco, loro ricostruiscono, ricostruiscono e ricostruiscono, e forse non vogliono questo’’. Meloni non ha nulla da eccepire. “Grazie signor presidente in questo incontro così importante – dice la premier – penso sia una giornata fondamentale, penso che qualcosa stia cambiando grazie a lei. Se vogliamo arrivare alla pace, dobbiamo farlo insieme, uniti”. Gli europei ne parleranno a livello di Consiglio Ue già martedì in videoconferenza.
Pur tra le non trascurabili divergenze sulla strategia, il format occidentale riesce a compiere passi in avanti sulla promessa di garanzie di sicurezza per l’Ucraina, vale a dire sulla dislocazione di forze militari in campo una volta raggiunta la pace, per prevenire eventuali nuovi attacchi russi. L’idea è stata lanciata nei mesi scorsi da Macron e Starmer, che ora ottengono l’agognato sì di Trump. “Gli europei sono la prima linea di difesa perché sono lì, ma anche noi li aiuteremo. Saremo coinvolti quando necessario”, sono le parole del presidente Usa, che quando accoglie i leader europei annuncia: in Alaska Putin ha “accettato che l’Ucraina abbia garanzie di sicurezza”. Un “grande passo”, sigla il segretario generale della Nato Rutte, ringraziando Trump di aver avviato il dialogo con Putin.
Insomma, il club dei volenterosi per l’Ucraina si è allargato. Ci sono gli Usa e ci sono anche Meloni e Merz, che fino a ieri erano scettici e che una volta tornati a casa dovranno fronteggiare i dissidi interni alle rispettive coalizioni di governo, per niente compatte sull’argomento. In Germania sia la Cdu che la Spd sono spaccate sulla eventualità di inviare soldati in Ucraina. In Italia il tema finora è stato un tabù: Meloni se la cava evidenziando di aver ottenuto che le garanzie di sicurezza per Kiev siano legate all’articolo 5 della Nato, anche se l’Ucraina non entrerà nel club. “Sono felice che si parta da una proposta, quella ispirata all’articolo 5, che all’inizio era italiana – dice – L’Italia è sempre pronta a portare idee per la pace e per il dialogo. È un percorso che dobbiamo costruire insieme, per garantire la pace e difendere la sicurezza delle nostre nazioni”.
Dei territori che secondo Trump l’Ucraina dovrebbe cedere a Mosca si parlerà nel trilaterale con Putin. Nessun dettaglio emerge a Washington, dove Zelensky evita la contrapposizione diretta con il presidente americano, ma non cede. Nel frattempo lo stesso trilaterale si allontana. “Tra una o due settimane, scopriremo se risolveremo questa situazione o se questa orribile guerra continuerà”, dice Trump, escludendo dunque che l’incontro possa tenersi già questa settimana, come inizialmente ventilato. “Le due parti vogliono entrambe trovare una soluzione e questa è una buona notizia”.
Intanto da Mosca, Putin continua a bombardare. E mentre Trump riunisce i suoi occidentali, il presidente russo sente al telefono i propri alleati dei Brics: il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, il sudafricano Cyril Ramaphosa, il premier indiano Narendra Modi, a cui si aggiunge anche il presidente del Tagikistan Emomali Rahmon. Nella lista delle telefonate, insomma, c’è anche l’India che è nel mirino di Washington, accusata di finanziare Mosca nella guerra contro Kiev. Più che la giornata decisiva per la pace, sembra un’altra di quelle giornate che demarcano un mondo diviso in due.
di Angela Mauro su Huffpost
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